Sulla chat di classe di mio figlio, seconda media, qualcuno posta immagini e slogan nazisti. I compagni rispondono: “Non è divertente. Ma che problema hai”, eccetera. Mio figlio dice che possono risolvere la cosa tra loro e mi ha chiesto di non avvertire genitori o insegnanti, ma io sono tentato di intervenire. Che fare? –Cosimo

In classe di uno dei miei figli c’era un ragazzo che nella giornata della memoria aveva portato in classe il Mein kampf . Aveva scoperto che parlare male degli immigrati o inneggiare a Donald Trump provocava proteste da parte dei suoi compagni. Oggi, anche se ormai è in un’altra classe, sostiene l’invasione russa dell’Ucraina.

Il gioco è fin troppo semplice: dire cose più controverse possibili per ottenere attenzione, stando attento a non farsi beccare dai professori. Il ragazzo si nutriva degli infiniti battibecchi che generavano le sue uscite e ne ricavava un’identità. Anch’io, come te, ero sempre sul punto d’intervenire e mi fermavo solo perché avevo il dubbio di cadere io stesso nella trappola. Ma quando si è presentato in classe con una mascherina con scritto “No Lgbt” ho chiamato i genitori, e mi sono pentito di averlo fatto solo quando mi sono sentito attaccato personalmente.

Non so quanto sia servito al ragazzo – da quanto ne so ha tolto l’omofobia dal suo catalogo di uscite provocatorie – ma il mio gesto è stato notato dai miei figli: hanno capito che certi valori non possono essere oggetto di dibattito e che bisogna intervenire al primo accenno di mancato rispetto.

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Questo articolo è uscito sul numero 1461 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati