Matteo Renzi è un uomo giovane, florido, ne sa una più del diavolo. Competente in rinascimenti, è addentro soprattutto alle segrete cose della politica. Ancora imberbe ha governato Firenze e, giovane poco meno di Alessandro Magno, l’Italia come nessuno mai. Nel giro di pochi anni tutto ha provato, la gavetta e il gavettone, l’ascesa e la caduta. In virtù dell’enorme esperienza accumulata, si è mostrato tessitore per il bene dell’Italia, ordito e trama. Non parliamo del suo scilinguagnolo, basta vederlo e sentirlo in tv, è incontenibile. Sa trasformare ogni interlocuzione in un monologo sferzante e soprattutto così definitivo che gli altri, se parla lui, è meglio che tacciano. Perché l’Italia deve al solito cacciare in margine i suoi figli migliori? Perché lasciare che quest’uomo, privato di un palcoscenico adeguato, dia i numeri? Già ci sottolinea fin troppo ossessivamente che è stato un meraviglioso presidente del consiglio, ha salvato l’Italia da Salvini e da Conte, ha sgominato i cinquestelle, ha messo Draghi al governo, fa e disfa. In nome del nostro quieto vivere, crediamogli, acquietiamolo. È una banale questione di caselle: Draghi va a presiedere la repubblica e lui il consiglio; Berlusconi sale al Quirinale, lui siede a Chigi; Draghi lo teniamo a Chigi, Berlusconi lo facciamo santo, lui va al Quirinale. Alle destre non dispiacerebbe. La politica è questo, no?

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Questo articolo è uscito sul numero 1437 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati