E se provassimo a grattar via dal quieto vivere il suo brutto significato di vita che bada a scansare guai in nome di una paciosa tranquillità? Non è scritto da nessuna parte che la vita veramente piena debba essere per forza lotta per la sopravvivenza, rissa sanguinosa a ogni angolo di strada, di condominio, di tinello, di pianeta, di stella. Il quieto vivere, in sé, è un meraviglioso modo di stare al mondo. Certo, sono millenni che abbiamo organizzato i fatti salienti del genere umano in storia e storie di assassini valorosi e audaci massacratori, tanto da convincerci che quelli che vivono sul serio alla grande sono coloro che spaccano, rovesciano, distruggono. Oggi che di guerra locale in guerra locale il genere umano, al seguito dei suoi capintesta al servizio del capitale, si prepara a godersi non la terza guerra mondiale ma la guerra assoluta in nome del profitto, forse è addirittura urgente rivalutare il quieto vivere. Smettiamola di dire: “Che noia, sei peggio di don Abbondio, pensi solo alle tue pantofole, non esiti a passar sopra a tutto pur di andare d’amore e d’accordo con chiunque”. Il quieto vivere, preso alla lettera, non ha niente a che fare col grigiore e la vigliaccheria. È piuttosto una temeraria pretesa di giusta serenità universale che disobbedisce alla zuffa, e può essere reinventato come argine contro la vita violenta degli arraffatutto.

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Questo articolo è uscito sul numero 1501 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati