In queste ore l’ordine degli psicologi sta valutando la posizione della sua iscritta Gegia, concorrente del Grande fratello vip (Canale 5), dopo che davanti a milioni di spettatori ha insultato e bullizzato un altro concorrente, Marco Bellavia, conduttore negli anni novanta di Bim bum bam, affetto da depressione. Gegia, il cui attuale profilo professionale imporrebbe il dovere dell’ascolto, si è rivelata insensibile ai disagi del “coinquilino”, che sperava di cacciare i suoi fantasmi, evidentemente sottovalutati dalla produzione, grazie all’aiuto del cast, che invece ha risposto picche perché la priorità è lo show e non sorbirsi le paturnie altrui. In poche ore Bellavia da vittima del branco è diventato un eroe social, con tanto di hashtag #iostoconmarco; gli sponsor (soprattutto patatine e gelati) si sono dissociati dalla trasmissione; e una signora con megafono è andata a Cinecittà, sede della Casa, per redarguire i bulli a suon di slogan. In un’epoca di crescita economica avrebbe ispirato il soggetto di un film, mentre in tempi in cui non ne azzecchiamo una passa per la peggiore delle pagine tv. Dall’esordio nel 2000 come esperimento anche sociologico, nel corso delle varie edizioni il Grande fratello è stato divorato dalla realtà che pretendeva di esibire fino al copione più ricorrente: chiedere scusa per quanto successo. Non è un punto di non ritorno, è solo l’affermazione di un nuovo filone, quello del senso di colpa. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1481 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati