Sembra che il grande successo delle serie tv turche, le cosiddette dizi (abbreviazione di televizyon dizileri), si debba all’intuizione da spettatrice di Carla Elvira Lucia Dall’Oglio, madre di Piersilvio Berlusconi. Fu lei a insistere perché il figlio, una volta al timone di Mediaset, investisse su titoli come Terra amara e Tradimento, lasciando i reality al loro misero destino. Nelle trame anatoliche si piange, si grida e si ama in modo totale, la famiglia è sacra, le donne sfidano i patriarchi, le atmosfere levantine evocano un turismo onirico in un islam secolarizzato che non spaventa, e c’è sempre un lieto fine. Schemi che in parte ricalcano le serie che fecero grandi le reti commerciali negli anni ottanta, telenovele come Anche i ricchi piangono, con eroine resilienti che lottavano contro le ingiustizie tra singhiozzi e vendette private. Al pubblico minacciato da un crescente scetticismo postideologico, le soap latine offrivano una panacea sentimentale e il ritorno ai valori tradizionali. L’ondata turca ha rivitalizzato quelle passioni “autentiche” con un’estetica da fotoromanzo contemporaneo, ricompensando le platee stanche del distacco ironico e disincantato delle produzioni statunitensi, capaci d’intrattenere senza emozionare. Il sultano Erdo­ğan plaude a un mercato da un miliardo di euro annui felice del soft power che ne deriva, premiandolo con iniziative liberali e una sola richiesta: niente scene di sesso. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1644 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati