Sameh Shoukry, ministro degli esteri egiziano, recita meccanicamente, una dopo l’altra, le risoluzioni del vertice delle Nazioni Unite sul clima (Cop27). “Nessuna obiezione”, ripete usando sempre lo stesso tono. “Approvata”. Un colpo di martelletto e si passa al punto successivo. È domenica mattina, 20 novembre, e siamo alle ultime ore di una conferenza che si trascina per le lunghe. Alla stanchezza della comunità internazionale ha senza dubbio contribuito il ministro degli esteri egiziano. Solo ventiquattr’ore prima c’era il dubbio che Shoukry e i suoi collaboratori avessero intenzione di mandare completamente all’aria la conferenza: durante la notte avevano presentato nuove proposte irricevibili per molti stati. Una mossa che aveva fatto indignare gli europei, anche per il modo molto particolare in cui gli egiziani avevano presentato le proposte: i testi erano stati proiettati su degli schermi per cinque minuti, senza che potessero essere fotografati né discussi. Ed è solo uno degli episodi che hanno caratterizzato questa conferenza piuttosto caotica, in cui si è respirata aria di fallimento. “Di vertici sul clima ne ho visti tanti,” dice Christoph Bals, che da anni segue le politiche climatiche per Germanwatch. “E posso dire che la gestione della Cop27 da parte del paese ospitante è stata molto problematica”.

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La mattina del 20 novembre, dopo l’ultimo colpo di martelletto di Shoukry, i partecipanti hanno lasciato l’aula con i volti pallidi. Gli europei sono rimasti delusi, come tanti attivisti per il clima. “Di certo non abbiamo ottenuto il massimo”, ha osservato Annalena Baerbock ministra degli esteri tedesca che ha condotto i negoziati per la Germania. Si sapeva che non sarebbe stata una conferenza facile, “ma non pensavamo neanche che sarebbe stata così difficile”.

Compromesso deludente

I punti complicati erano molti. I tedeschi si erano impegnati per mettere all’ordine del giorno anche la compensazione per i danni causati dal riscaldamento globale, un argomento di cui si discute in modo molto acceso da trent’anni. Si è sempre saputo che le emissioni di gas serra delle nazioni industrializzate accelerano i cambiamenti climatici, danneggiando soprattutto i paesi più poveri. Ma per molto tempo i paesi ricchi non hanno voluto assumersi le loro responsabilità. Alla Cop27 si è finalmente trovato un accordo per affrontare il problema. Entro un anno dovrà essere creato un fondo per la compensazione dei danni causati dal cambiamento climatico. Si tratta di un risultato importante per i paesi più esposti alle conseguenze della crisi, ma l’accordo finale è frutto di un compromesso. Gli europei sono riusciti – anche se a fatica – a imporre dei limiti: il fondo non compenserà tutti i paesi in via di sviluppo ma solo quelli che, per collocazione geografica o livello di povertà, sono particolarmente minacciati dal riscaldamento globale. Non sono invece riusciti a ottenere che anche la Cina e altri paesi emergenti contribuissero al fondo. “Su questo punto l’Unione europea è uscita sconfitta”, dice Martin Kaiser, capo di Greenpeace. La creazione del fondo rappresenta comunque una fuga in avanti coraggiosa, ma su altri fronti l’Europa ha ottenuto poco o niente.

Tutti a Dubai

Questo vale soprattutto per un altro tema, importante e controverso: l’impegno concreto per la mitigazione dei cambiamenti climatici. Per contenere il riscaldamento globale a 1,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali, nel giro di otto anni le emissioni di gas a effetto serra dovrebbero diminuire del 43 per cento. Su questo la conferenza di Sharm el Sheik ha elaborato uno specifico programma di lavoro che però non sarà particolarmente risolutivo. L’Europa, ma anche un gruppo di stati insulari e di paesi in via di sviluppo, premevano per un piano attivo fino al 2030 che includesse un monitoraggio a scadenze regolari dei risultati raggiunti. Il piano approvato invece durerà solo fino al 2026. Almeno è stato evitato un passaggio che avrebbe fissato obiettivi ancora più deboli di quelli introdotti alla conferenza di Parigi del 2015.

L’opinione
Il sabotaggio dei lobbisti

◆ “La Cina, leader mondiale nelle emissioni di anidride carbonica, ha svolto un ruolo decisivo nell’esito della Cop27, ma sarebbe sbagliato attribuire tutta la colpa a un unico paese”, scrive Christian Stöcker su Der Spiegel. In Egitto erano presenti 636 rappresentanti di gruppi industriali che estraggono petrolio e carbone. Insomma, c’erano diverse persone che guadagnano con le fonti fossili e spesso esercitano pressioni sulla politica, nel mondo accademico e sui mezzi d’informazione. “I gruppi energetici finanziano studi per screditare le rinnovabili o azioni legali contro l’apertura di un parco eolico. Favoriscono la disinformazione, e per questo oggi molte persone non hanno idea dei pericoli che corre la Terra”. Non è semplice lobbismo, conclude il settimanale: è un sabotaggio consapevole di un futuro migliore per l’umanità.


Quando i negoziatori hanno lasciato la plenaria, fuori splendeva già il sole. Franz Perrez, capo negoziatore svizzero, ha detto di essere stanco e deluso. Alla conferenza di Glasgow, un anno fa, l’obiettivo di un grado e mezzo sembrava ancora a portata di mano: “Con questa conferenza, invece, siamo arrivati a un punto di non ritorno: potremmo non farcela”. I negoziatori si sono scontrati duramente anche sulla dichiarazione finale della conferenza, un documento che fa capire la direzione presa dal vertice. Chi sperava che a Sharm el Sheik si facessero passi importanti per difendere il clima, la notte tra il 19 e il 20 novembre si è ritrovato sulla difensiva. Su alcuni passaggi sono perfino stati fatti passi indietro rispetto a Glasgow. Questo mentre l’Europa e altri cinquanta stati chiedono di superare i combustibili fossili.

Da sapere
Risultati limitati

◆ Si è conclusa il 20 novembre 2022 a Sharm el Sheikh, in Egitto, la 27a conferenza delle Nazioni Unite sul clima. Il risultato più importante è l’istituzione di un fondo per i paesi più vulnerabili agli effetti del riscaldamento globale. Li aiuterà a fronteggiare i danni economici e sociali dei fenomeni meteorologici estremi. Da decenni i paesi più poveri, che generalmente sono anche quelli meno responsabili del riscaldamento globale, chiedevano ai paesi ricchi di pagare i danni. L’accordo raggiunto è però piuttosto vago sui dettagli del fondo. In passato le promesse di finanziamenti di compensazione sono state spesso disattese.

◆ Alla Cop27 non sono stati fatti progressi importanti sulla riduzione dell’impiego dei combustibili fossili. Il testo finale contiene solo un riferimento alla necessità di ridurre le emissioni, ma senza dettagli su come intervenire.

◆ I paesi partecipanti si sono anche impegnati a mantenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto degli 1,5 gradi rispetto al periodo preindustriale. Ma per raggiungere quell’obiettivo bisognerebbe dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2030, un traguardo al momento molto lontano. In base alle attuali politiche dei vari paesi, si stima che l’aumento della temperatura media globale sarà di 2,1-2,9 gradi. The Guardian


La richiesta è una logica conseguenza dell’impegno a mitigare il riscaldamento globale, eppure non è mai entrata nel documento finale. Già durante le ultime ore della conferenza di Glasgow era scoppiata una polemica: all’epoca India e Cina si erano opposte alla richiesta di abbandonare il carbone come fonte per produrre energia, e nel documento finale si parlava di semplice “riduzione”. Paradossalmente a Sharm el Sheik è stata l’India a mettere sul tappeto la proposta di affrancarsi dai combustibili fossili, senza però impegnarsi più di tanto per assicurare il successo della sua proposta. Sono stati invece gli europei, gli statunitensi e i negoziatori degli stati insulari a impegnarsi su questo, ma senza successo. Al contrario, guadagnano terreno le “energie a basse emissioni”, trasformate in “energie pulite” e dunque messe sullo stesso piano di quelle rinnovabili. In questo modo, a seconda dei criteri adottati, perfino una centrale a gas potrebbe rientrare tra le energie pulite.

È mancato veramente poco perché il vertice fosse un fallimento. Tanto che alla fine Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea, è intervenuto in assemblea plenaria sostenendo che gli europei si sono impegnati per salvare l’accordo finale solo per non mettere a repentaglio il nuovo fondo per i finanziamenti ai paesi vulnerabili. “Siamo di fronte a un dilemma morale”, ha detto al termine del vertice. Per quanto riguarda la riduzione delle emissioni l’accordo è insufficiente. “Ma cosa dovremmo fare, andarcene e soffocare sul nascere il fondo per il quale gli stati vulnerabili hanno combattuto per decenni?”. Tutti insieme dovremmo usare i prossimi dodici mesi per ritrovare lo slancio di un tempo, ha aggiunto Timmermans. Ma l’anno prossimo i negoziati si svolgeranno in un paese poco interessato alla tutela del clima: gli Emirati Arabi Uniti. ◆sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1488 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati