18 ottobre 2019 11:25

Sotto un grande telone di plastica, Walter Ledesma e Hipólito Suarez hanno ingannato il tempo tenendo acceso un piccolo falò. Il loro accampamento è stato una nota stonata in questo quartiere raffinato di Mar del Plata (quasi un milione di abitanti), stazione balneare situata 400 chilometri a sud di Buenos Aires. Sul marciapiede i lavoratori hanno scritto con lo spray rosa: “Carlos Blanco, ladro, fatti vedere”.

I dipendenti dell’industria ittica di Mar del Plata sono stati accampati qui per più di due settimane, giorno e notte, davanti alla casa del loro ex datore di lavoro. Blanco, presidente dell’azienda Rocamare, ha sospeso le attività all’improvviso, senza dare né preavviso né indennizzi alla ventina di fileteros (gli operai che sfilettano il pesce, in particolare il merluzzo pescato nella regione) occupati senza contratto da un anno e mezzo.

“È il proprietario, il dirigente e il tesoriere… controlla tutto. Lavori per lui per più di un anno ma quando non ha più bisogno di te sparisce”, accusa Suarez, che ha cinquant’anni e una certa esperienza in battaglie lavorative. La situazione nel porto di Mar del Plata, spiega, “è sempre stata complicata”. “Ma oggi è più difficile cavarsela rispetto al passato, perché non c’è lavoro, non c’è niente”. Il suo collega Walter Ledesma è d’accordo. “Prima potevi trovare un piccolo lavoro nel giro di una settimana. Ora invece sono due mesi che non facciamo niente”. Nell’attesa non ricevono indennità di disoccupazione, perché hanno lavorato in nero. E intanto i debiti si accumulano. In Argentina l’inflazione ha raggiunto il 55 per cento.

Una pessima decisione
La crisi economica e sociale che devasta il paese dal 2018 è “peggiore di tutte quelle precedenti”, sottolinea Cristina Ledesma, segretaria generale del sindacato degli operai dell’industria ittica (Soip). “Il settore della pesca vive una situazione critica. C’è sempre meno lavoro. I pescherecci partono in massa verso sud, dove si trovano aragoste da rivendere all’estero con buoni profitti”.

I lavoratori rimasti a Mar del Plata sono estremamente vulnerabili, soprattutto quelli occupati in nero, ovvero il 70 per cento della forza lavoro secondo Ledesma. La rappresentante del Soip ammette di essere “disorientata” davanti alle ripetute chiusure delle aziende negli ultimi mesi.

Dopo aver assistito a due udienze al ministero del lavoro regionale, dove Blanco non si è presentato, gli operai di Rocamare hanno smobilitato l’accampamento. “Non possiamo permetterci di continuare ad aspettare, dobbiamo ricominciare a cercare un lavoro”, spiega Walter Ledesma, che promette di portare in tribunale il suo ex capo. “Qualche anno fa mi avevano proposto di partire su un peschereccio. Ho preferito restare a Mar del Plata. È stata una pessima decisione”, osserva Walter Ledesma Junior, 23 anni. Come suo padre, anche lui spera che il probabile cambio di governo restituisca un po’ di slancio all’economia argentina.

L’attuale presidente, esponente della destra, è stato punito duramente dagli argentini che lo ritengono responsabile della crisi

Il ritorno al potere del peronismo, incarnato da Alberto Fernández e dalla sua compagna di lista Cristina Kirchner (presidente tra il 2007 e il 2015) sembra ormai scontato. L’11 agosto la lista ha ottenuto il 49 per cento alle elezioni primarie, obbligatorie per tutti i partiti e organizzate in vista delle presidenziali del 27 ottobre. Macri si è fermato al 33 per cento.

L’attuale presidente, Mauricio Macri, esponente della destra, è stato punito duramente dagli argentini, che lo ritengono responsabile della crisi e gli rimproverano di aver consentito il ritorno del Fondo monetario internazionale (Fmi) nel paese. L’istituzione finanziaria ha concesso al governo argentino un prestito di 57 miliardi di dollari, di cui quasi l’80 per cento è già stato versato. In cambio, il governo ha accettato un durissimo piano di austerità che ha colpito i settori più fragili della società argentina.

“Quando il paese sta bene, Mar del Plata sta bene. Quando il paese sta male, Mar del Plata sta peggio”. Il detto, ripetuto con un certo fatalismo, è confermato dal panorama di viale Juan Bautista Justo. La grande arteria che separa la zona est dalla zona ovest della città offre un triste spettacolo a chiunque si prenda la briga di percorrerla per qualche centinaio di metri: molte vetrine annunciano liquidazioni straordinarie, mentre altri negozi sono stati evidentemente svuotati e abbandonati.

Il negozio d’abbigliamento Centomo è tra i pochi che resistono. Héctor Juan Fangareggi ha aperto trent’anni fa, e ha saputo mettere a frutto la sua esperienza con gli imprevisti dell’economia argentina. “Nel 2001, all’epoca dell’ultima grande crisi economica, abbiamo dichiarato bancarotta. Abbiamo perso tutto. È stato molto difficile ricominciare da zero, un anno dopo”. Fangareggi ha settant’anni e ha imparato molto da quel momento di disperazione. “Quando Macri è arrivato al potere sapevo che le sue politiche neoliberiste non ci avrebbero favoriti. Abbiamo preso alcune decisioni importanti, sospendendo la vendita all’ingrosso e concentrandoci sulla vendita diretta in negozio. Abbiamo costituito un capitale e acquistato parecchi tessuti prima dell’aumento dei prezzi. Attualmente stiamo consumando quel capitale, pezzo dopo pezzo”. Le vendite del negozio si sono dimezzate dal 2016. Fangareggi ammette che la scomparsa della concorrenza nella zona ha aiutato a sopravvivere, anche se detesta la “sensazione di vivere da solo in un deserto”.

A Mar del Plata la chiusura in serie di aziende e negozi ha fatto impennare il tasso di disoccupazione, che secondo le ultime stime dell’Istituto di statistica (Indec) ha raggiunto il 13,4 per cento della popolazione attiva, un record in Argentina, il cui tasso medio è del 10,6 per cento. Le prospettive sono particolarmente sconfortanti per i giovani, i più colpiti dalla mancanza di lavoro. Secondo l’Indec quasi il 37 per cento delle ragazze di Mar del Plata sotto i trent’anni non ha un lavoro.

“Ogni posto di lavoro regolare che sparisce porta via con sé anche piccoli lavori informali”, spiega Rodrigo Hernández, professore di scienze politiche e rappresentante regionale dell’organizzazione politica e sociale Barrios de pie (Quartieri in piedi). “Le persone che perdono il posto di lavoro regolare smettono di chiamare l’elettricista del quartiere, e se devono ritinteggiare casa lo fanno da sé. È un circolo vizioso che aggrava la povertà strutturale”. Secondo gli ultimi dati dell’Indec il 30 per cento della popolazione di Mar del Plata vive in condizioni di povertà. Il dato è inferiore alla media nazionale (35,4 per cento), ma secondo Hernández bisogna tenere conto che “Mar del Plata è una città con un porto, un’industria tessile e un settore turistico, dunque è molto triste che così tante persone vivano senza un minimo di dignità”.

Lo sviluppo delle mense sociali
Nella periferia si sono sviluppate grandi baraccopoli come Barrio Malvinas Argentinas, dove le strade in terra battuta si allagano continuamente a causa del clima instabile tipico delle città di mare. Tre volte alla settimana, nel suo comedor, Carina Paz prepara pasti caldi in un’enorme pentola per le famiglie del quartiere. La mensa sociale dipende dall’organizzazione Barrios de pie, che ogni mese riceve aiuti alimentari dallo stato. “Ma le quantità sono davvero insufficienti”, sottolinea Paz, che ogni giorno accoglie un numero sempre maggiore di famiglie.

María José Medina, abitante del quartiere e madre di due bambini piccoli, spiega che “la situazione è peggiorata negli ultimi due mesi. Ci capita di dover saltare un pasto o accontentarci di un infuso e un pezzo di pane”. La famiglia Medina sopravvive grazie ai sussidi assegnati dal governo ai genitori in difficoltà (circa 2.900 pesos al mese per ogni bambino, meno di 50 euro). Per arrotondare, vende torte fatte in casa nelle strade di Mar del Plata. “Qui non c’è lavoro, e quel poco che c’è non lo danno certo alle madri con figli piccoli…”.

Alla metà di settembre il parlamento argentino ha prorogato una legge per l’emergenza alimentare che prevede un aumento del 50 per cento del budget destinato agli aiuti alimentari statali. Ma “sono passate settimane e non si sa chi distribuirà questi aiuti, né come”, accusa Rodrigo Hernández, rappresentante di Barrios de pie.

Dal 2017 l’organizzazione ha triplicato il numero di mense sociali e oggi ne gestisce 56 a Mar del Plata. “È giusto parlare di emergenza, ma che senso ha se poi passano settimane e nessuno fa niente?”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito sul giornale francese online Mediapart.

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