16 gennaio 2018 17:04

Mark Zuckerberg si è mosso con rapidità e in poco tempo ha messo tutto a soqquadro.

Ha stravolto il mondo del giornalismo, riducendo radicalmente il valore della pubblicità digitale su cui ormai si basa la sopravvivenza dei mezzi d’informazione. Ha stravolto le abitudini di lettura dei suoi utenti, i topi da laboratorio del suo grande esperimento, manipolandoli costantemente e dandogli in pasto un flusso costante di spazzatura per farli rimanere più tempo sul sito. In un certo senso ha stravolto anche la democrazia degli Stati Uniti, facendo finta di nulla mentre un nemico straniero usava la sua piattaforma per creare uno strumento efficiente per diffondere bugie e propaganda politica. E ora, con la decisione di togliere buona parte delle notizie dal news feed, ha deciso di stravolgere anche il suo stesso sito.

Questa trasformazione radicale è un’ammissione di sconfitta. A un certo punto dell’ascesa del social network, che ha più di due miliardi di utenti, Zuckerberg deve aver avuto una rivelazione: in questo momento Facebook è l’editore più potente del mondo. All’inizio è stato chiaro a tutti tranne che a Facebook, che forse ha finto di non capire. L’azienda si descrive come un semplice strumento e sostiene di non aver alcun ruolo nell’organizzazione delle notizie che diffonde – come se non stesse imponendo i suoi valori sui news feed, come se non stesse imponendo una gerarchia alle cose che decide di mostrare. Questa posizione, che vorrebbe strombazzare la neutralità di Facebook, non può reggere a un’analisi attenta. E dopo l’elezione di Donald Trump, Facebook ne ha ricevute parecchie.

Per i giornali sarà un brutto colpo, ma sarà anche un bene. E da un certo punto di vista, la stampa ne è consapevole

Ma Zuckerberg si è sempre vantato della sua capacità di trasformare il sito quando è il momento. Subito dopo le elezioni, di fronte a critiche molto severe, Facebook ha cambiato strategia. Ha cominciato a comportarsi come se volesse assumersi delle responsabilità e ha fatto credere che avrebbe modificato i suoi algoritmi per scegliere con più cura i contenuti da mostrare. Avrebbe cominciato separando le notizie false dalla realtà.

Si trattava di un encomiabile cambiamento delle sue politiche. Le notizie false sono una vera piaga ed era quindi sensato che Facebook se ne occupasse seriamente. Ma c’era un evidente pericolo nel fatto che Facebook si comportasse come un giornale. Facebook pubblica le opinioni dei suoi utenti, e non è semplice giudicare in modo obiettivo le opinioni. Nessuno vuole credere che sta condividendo delle notizie false. E Facebook non ha interesse a dire ai suoi fedeli utenti che le loro scelte politiche si basano su bugie e stupidaggini.

Ma Facebook aveva anche un altro problema. L’azienda sostiene che la sua missione è quella di mettere in comunicazione il mondo. Il fatto è che il mondo è pieno di stati autoritari. Se cominciasse a selezionare le opinioni e a rimuovere i contenuti sulla base della credibilità, perderebbe la sua principale difesa contro la pressione delle dittature. I governi vorrebbero che Facebook mettesse fine ad alcune conversazioni pericolose. Ma Facebook ha resistito a queste pressioni in nome della sua neutralità. Un cambiamento delle sue politiche, l’assunzione di nuove responsabilità, darebbe ai peggiori capi di stato del mondo l’opportunità di chiedere a Facebook di cancellare le “menzogne” diffuse dai dissidenti.

Non c’è modo di cancellare i danni che Facebook ha fatto negli ultimi anni. Eppure Mark Zuckerberg ha preso una decisione: riportare la sua azienda alle origini, un social network senza contenuti giornalistici e propaganda politica. Facebook tornerà a occuparsi soprattutto della sofferenza che ci provoca la banalità delle nostre vacanze, della relativa mediocrità dei nostri figli, e ci spingerà a condividere sempre più informazioni private. Ma il costo sociale dell’ansia provocata da Facebook è decisamente inferiore al costo politico che deriva da un’informazione filtrata.

Zuckerberg troverà ingiusto non ricevere tutti gli elogi che forse crede di meritare. Nei prossimi giorni sarà il bersaglio dell’ostilità dei mezzi d’informazione. Molti condanneranno il lato capriccioso della sua decisione. E alcune di queste critiche conterranno una parte di verità.

Facebook ha incoraggiato i mezzi d’informazione a diventare dipendenti dalla piattaforma. Quando gli ha proposto di usare Instant Articles, lo hanno fatto. Quando li ha incoraggiati a produrre video, lo hanno fatto, usando denaro prezioso a questo scopo. E ora, dopo aver sfruttato la loro fiducia, Facebook gli ha dato il benservito. Dando meno spazio al giornalismo nel suo news feed, ridurrà notevolmente il traffico e il denaro verso i siti dei mezzi d’informazione.

Per i giornali sarà un brutto colpo, ma sarà anche un bene. E da un certo punto di vista, la stampa ne è consapevole. La copertura ostile nei confronti della Silicon valley di questi ultimi mesi è il riflesso di un certo psicodramma. Per anni i giornali hanno subìto la dipendenza da Facebook e da Google, senza mostrare troppo risentimento. Con l’elezione di Trump, tutta la rabbia a lungo covata dai giornali ha trovato uno sfogo. Improvvisamente era accettabile scagliarsi contro Facebook e Google.

Ma invece di scagliarsi nuovamente contro Facebook, i mezzi d’informazione dovrebbero ringraziarlo. Facebook gli ha appena fatto un enorme favore. Li ha obbligati ad accettare il fatto che la pubblicità e il traffico su internet non sosterranno mai il giornalismo, soprattutto se quel traffico viene da aziende che vogliono tenere per sé tutti i soldi che arrivano dalla pubblicità. I giornali non possono cambiare questa realtà, ma non vogliono sostenere gli sforzi e il dispiacere che derivano da questa transizione. E faticano a rinunciare all’idea di poter sfruttare Facebook per ottenere più visibilità. Adesso Zuckerberg ha stravolto anche questo, liberando i mezzi d’informazione da un’illusione a cui avrebbero dovuto rinunciare molto tempo fa.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato da The Atlantic.

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