26 marzo 2021 12:24

Le telefonate erano cominciate a dicembre, quando gli Stati Uniti si preparavano a somministrare le prime dosi del vaccino contro il covid-19. Già allora era chiaro che l’Unione europea era indietro di qualche settimana e che i suoi leader volevano sapere cosa si poteva imparare dalle controparti americane.

Le domande erano le stesse, dal presidente francese Emmanuel Macron alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen al primo ministro belga Alexander De Croo. “Come ci siete riusciti?” era l’interrogativo ricorrente, ricorda il dottor Moncef Slaoui, la mente suprema per la produzione statunitense dei vaccini. “E secondo voi cosa abbiamo sbagliato noi?”.

Da allora il divario delle vaccinazioni tra gli Stati Uniti e l’Europa è aumentato e alcuni dei paesi più colpiti nelle prime fasi della pandemia stanno affrontando una letale terza ondata di contagi. Francia, gran parte dell’Italia e altre regioni sono di nuovo in confinamento. Ogni settimana circa ventimila europei muoiono di covid-19.

Lo stato diventa partner dell’azienda
Nel continente si è registrato un ulteriore rallentamento delle somministrazioni nella settimana tra il 12 e il 19 marzo, quando il timore suscitato da alcuni casi di trombosi ed emorragie cerebrali ha indotto molti paesi a bloccare momentaneamente le vaccinazioni con il farmaco dell’AstraZeneca. Quasi tutti hanno ripreso a somministrarlo il 20 marzo, dopo che il principale ente di controllo europeo (Ema) ne ha garantito la sicurezza, ma la fiducia dell’opinione pubblica nel vaccino ne è uscita profondamente scossa. E i numeri delle somministrazioni restano bassi. In Europa è stato iniettato solo circa il 10 per cento delle dosi, rispetto al 23 per cento negli Stati Uniti e al 39 per cento nel Regno Unito.

Non c’è un unico colpevole. Piuttosto, una serie di piccole decisioni ha provocato ritardi sempre più lunghi. L’Ue è stata relativamente lenta a siglare contratti con le case farmaceutiche. I suoi organismi di controllo sono stati cauti nell’autorizzare alcuni vaccini. Inoltre ha scommesso su vaccini che non hanno avuto successo o che hanno rallentato la fornitura. E i governi nazionali hanno soffocato con la burocrazia alcuni tentativi locali.

Washington ha pagato sviluppo e sperimentazioni; in sostanza le case farmaceutiche non avevano niente da perdere

Tuttavia la spiegazione più importante, quella che per mesi ha ossessionato l’Ue, è tanto filosofica quanto operativa. Negli Stati Uniti, i governi europei sono spesso considerati come sostenitori della regolamentazione dei mercati e dell’impresa privata, ma stavolta è stata Washington a consegnare miliardi di dollari alle case farmaceutiche proteggendo il loro settore dai rischi del mercato. Bruxelles, invece, ha adottato un approccio conservatore e attento ai bilanci, lasciando che il resto lo facesse il libero mercato. E l’ha pagata cara.

In poche parole, la risposta che il dottor Slaoui dà oggi è la stessa di quella data a dicembre. L’Ue ha comprato i vaccini come se fosse una semplice cliente. Gli Stati Uniti, invece, hanno finanziato le aziende farmaceutiche spendendo molto di più per accelerare lo sviluppo, la sperimentazione e la produzione dei vaccini. In Europa “davano per scontato che sarebbe bastato limitarsi a contrattare l’acquisto delle dosi”, ricorda il dotto Slaoui, che era stato assunto dall’ex presidente Donald Trump per velocizzare lo sviluppo dei vaccini. “La cosa davvero importante però era essere partner attivi nello sviluppo e nella produzione dei vaccini. E farlo sin da subito”.

Il risultato in Europa è una campagna vaccinale esitante che ha avuto delle ripercussioni politiche: tra i suoi leader c’è chi si chiede perché alcuni tra i paesi più ricchi del mondo, dove si trovano fabbriche che sfornano enormi quantità di vaccini, non riescano a vaccinare i loro cittadini allo stesso ritmo di altri paesi ricchi.

A paragone con quasi tutto il resto del mondo l’Unione europea si trova in una posizione ammirevole. Stando a quanto dichiarato dai suoi leader è ancora possibile vaccinare il 70 per cento del continente entro l’estate. L’Ue ha ordinato una quantità di dosi sufficienti a vaccinare tutta la sua popolazione almeno tre volte, lasciando costernati paesi che dovranno aspettare anni per raggiungere una piena copertura. Agli europei però brucia in particolare vedere il Regno Unito cavarsela così bene malgrado la Brexit. Tutti vogliono sapere perché l’Unione europea non ha trionfato.

Impreparati alla battaglia
L’Unione europea ha inseguito gli Stati Uniti e il Regno Unito sin dall’inizio. Quando ha deciso di mettere assieme le sue risorse e trattare in modo unitario Washington aveva già speso miliardi per i testi clinici e la produzione. A metà giugno la Commissione europea, l’organo esecutivo dell’Ue, ha annunciato un acquisto congiunto di vaccini per un valore di 3,2 miliardi di dollari.

A Washington, l’operazione Warp speed (alla velocità della luce), il programma vaccinale dell’amministrazione Trump, ha avuto un bilancio di dieci miliardi di dollari. Secondo i funzionari europei non è giusto paragonare le due cifre perché nessuna delle due fornisce un quadro completo di tutti i soldi spesi per i vaccini. È certo, però, che i funzionari di Washington hanno stabilito che se i vaccini potevano servire a evitare il costo economico di un confinamento i soldi non sarebbero stati un problema. L’Europa ha fatto invece più attenzione al bilancio, perciò i suoi negoziatori hanno cercato di comprare i vaccini più economici.

“Il prezzo è stato un aspetto importante sin dall’inizio”. Così ha dichiarato al parlamento europeo Sandra Gallina, la principale negoziatrice per i vaccini dell’Unione europea, lo scorso febbraio. “Stiamo parlando dei soldi dei contribuenti”.

I leader di Bruxelles sono stati più che felici di poter incolpare l’AstraZeneca per la diminuzione delle forniture

Il primo accordo dell’Unione europea, quello con l’AstraZeneca, è stato siglato ad agosto, mesi dopo gli Stati Uniti. L’Ue ha negoziato come un’acquirente forte, ma non ha dispiegato la stessa potenza da approvvigionamento bellico messa in campo dall’amministrazione Trump per garantire le materie prime alle case farmaceutiche. Perciò l’Unione europea non è stata in prima linea per ricevere le dosi.
Gli Stati Uniti hanno facilitato le trattative – fin troppo secondo alcuni critici – firmando la cessione di qualsiasi proprietà intellettuale e sollevando le case farmaceutiche da qualsiasi responsabilità nel caso di danni collaterali dovuti al farmaco. Washington ha pagato sviluppo e sperimentazioni; in sostanza le case farmaceutiche non avevano niente da perdere.

I produttori di farmaci si aspettavano lo stesso tipo di concessioni in Europa, ma secondo Gallina gli andirivieni sulla responsabilità per la sicurezza del farmaco sono stati il principale ostacolo. I negoziatori europei hanno dovuto conciliare le diverse leggi al riguardo in vigore nei vari paesi, cercando un terreno comune tra i 27. “In una crisi emerge sempre con chiarezza il fatto che l’Unione europea non è una nazione”, ha affermato Jacob Kirkegaard, del centro studi German Marshall Fund. A suo parere, l’Ue ha affrontato la questione dell’approvvigionamento dei vaccini come una trattativa sui contratti mentre di fatto “era un gioco a somma zero con scorte limitate”. “Non era attrezzata per uno scontro a fuoco”, ha commentato Kirkegaard.

Slaoui ha detto che Washington e Londra hanno affrontato la crisi a ranghi serrati. Ricorda incontri bisettimanali con la sua controparte britannica Kate Bingham, mentre l’Europa andava per conto suo: “Se ti siedi a tavola dal primo giorno e paghi per essere il primo a scegliere dal menu, sarai il primo a mangiare”, ha dichiarato.

I cavalli sbagliati
Le istituzioni europee sono, per loro natura, avverse al rischio. Uno dei pilastri fondanti dell’Unione europea è il principio di precauzione: quando i rischi non sono chiari, l’Ue si mantiene su posizioni di cautela. E questo secondo alcuni analisti l’avrebbe danneggiata. I leader tedeschi chiedevano di scommettere con più decisione sui vaccini della Pfizer/Biontech e della Curevac, che però si basavano una tecnologia a Rna messaggero non ancora testata ed erano più costosi. L’Ue aveva appena concordato uno spinoso pacchetto di salvataggio economico e gli stati membri non avevano molta voglia di correre altri rischi o sostenere altre spese.

Il fatto che l’Europa abbia in alcuni casi scommesso sui cavalli sbagliati non è stato d’aiuto. Ha speso miliardi per un possibile vaccino dell’azienda farmaceutica francese Sanofi e su uno della britannica Gsk, che però hanno accumulato un ritardo di oltre un anno per risultati deludenti.

A quel punto l’Ue ha puntato sull’AstraZeneca per i suoi primi programmi di vaccinazione, una scommessa che ha avuto sin da subito delle ripercussioni. L’Italia per esempio ha appoggiato la scommessa europea sulle dosi dell’AstraZeneca perché costavano meno e non richiedevano temperature di conservazione estreme. Poi però gli organismi di controllo italiani hanno raccomandato di non inoculare il vaccino alle persone più anziane prima di avere a disposizione più dati, lasciando un paese con la popolazione più anziana d’Europa in una posizione di maggiore vulnerabilità alla pandemia.

Anche il Regno Unito ha scommesso pesantemente sull’AstraZeneca, ma grazie ai suoi rapporti operativi ravvicinati con l’azienda farmaceutica e agli accordi siglati in anticipo il paese si è trovato in una posizione di vantaggio quando l’azienda ha avuto problemi di produzione a gennaio. Secondo quanto dichiarato dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, l’AstraZeneca ha tagliato le sue previsioni di consegna, dicendo ai leader europei che avrebbe consegnato cento milioni di dosi in meno entro la metà dell’anno.

A quel punto l’Ue si è messa contro l’AstraZeneca e la controversia è diventata pubblica. I leader di Bruxelles sono stati più che felici di poter incolpare l’azienda per la diminuzione delle forniture e adesso la controversia potrebbe finire davanti a un tribunale belga.

L’Europa ha perso altro tempo perché la sua agenzia per il farmaco è stata lenta ad approvare il vaccino dell’AstraZeneca, per rassicurare l’opinione pubblica sulla sua sicurezza. Questo “ci è costato due o tre settimane di ritardo”, ha dichiarato von der Leyen.

L’Ue è rimasta ancora più indietro quando le autorità nazionali di Germania, Francia, Italia e altri paesi hanno manifestato dei timori per alcuni casi di pericolose trombosi ed emorragie e hanno sospeso temporaneamente l’uso del vaccino. Sebbene l’Organizzazione mondiale della sanità e gli organismi di controllo europei ne abbiano ribadito la sicurezza, il danno ormai era fatto. Secondo un sondaggio dell’istituto Elabe, ora solo un francese su cinque si fida del vaccino dell’AstraZeneca.

Adesso l’Unione europea afferma con toni più aggressivi la necessità di proteggere i suoi interessi. All’inizio di marzo l’Italia ha bloccato una piccola fornitura di vaccini dell’AstraZeneca diretta in Australia. Successivamente von der Leyen ha alzato la posta minacciando di ricorrere a un meccanismo di emergenza usato l’ultima volta durante la crisi petrolifera degli anni settanta che consentirebbe all’Ue di requisire la produzione dei vaccini. “È difficile spiegare ai nostri cittadini perché i vaccini prodotti nell’Unione europea vanno ad altri paesi”, ha dichiarato von der Leyen.

“Un piccolo problema di comunicazione”
All’inizio del mese Toon Vanagt, un imprenditore belga del settore tecnologico, ha accompagnato il padre di 77 anni in un centro vaccinale a nord di Bruxelles. Vanagt, 47 anni, non aveva diritto al vaccino, ma un operatore gli ha offerto una dose avanzata che lui è stato ben felice di accettare.

Milioni di statunitensi sono stati vaccinati in questo modo e le aziende di software si sono precipitate a mettere in connessione pazienti e dosi che altrimenti sarebbero scadute. In Belgio invece il tweet con cui Vanagt raccontava di essere stato vaccinato ha provocato un piccolo scandalo. I funzionari sanitari hanno rimproverato il centro vaccinale che si è affrettato a scusarsi: “Un piccolo problema di comunicazione che abbiamo subito rettificato”.

L’andamento della campagna vaccinale in Belgio è un esempio dell’approccio rigido del continente nel seguire le linee guida sulla vaccinazione. In un paese dove i contagi nelle case di riposo hanno provocato un tasso di letalità tra i più alti al mondo, le linee guida impongono di dare priorità assoluta ai residenti più fragili.

Tanti paesi europei stanno inoltre facendo scorta di dosi per garantire a coloro che ricevono la prima dose di ricevere la seconda in tempo. Gli Stati Uniti e il Regno Unito sono stati più flessibili, preferendo somministrare il maggior numero possibile di prime dosi. “Negli Stati Uniti c’è un sistema molto più flessibile e aperto, si vaccinano le persone che si presentano. Anche nel Regno Unito. E si potrebbe fare ancora più in fretta. Qui è piuttosto regolamentato”, ha affermato Steven Van Gutch, il principale virologo del governo belga, secondo cui è ancora troppo presto per capire quale sia il sistema migliore.

Gli intralci amministrativi hanno esasperato i problemi. A Francoforte Elke Morgenstern è stata respinta da un centro vaccinale perché si era iscritta usando l’applicazione online sbagliata. “È stato imbarazzante”, ha dichiarato Morgenstern, aggiungendo di avere i requisiti a essere vaccinata per delle patologie pregresse.

A causa delle carenze delle dosi dell’AstraZeneca non può prenotare un altro appuntamento prima di maggio. “Il modo in cui stanno gestendo le cose qui è catastrofico”, ha detto.

Nella regione Lombardia, in Italia, un tempo epicentro della pandemia, la campagna vaccinale è partita a rilento in parte perché l’assessore alla sanità si è rifiutato di richiamare gli operatori sanitari durante le vacanze di Natale. Le difficoltà tecniche hanno peggiorato i problemi nei centri vaccinali della regione. “Alcuni turni erano vuoti”, ha raccontato Paola Petrini, segretaria regionale della federazione italiana dei medici di famiglia. “In altri casi hanno convocato 900 persone pur potendone vaccinare solo 600”.

Nonostante tutti i problemi, secondo il dottor Slaoui gli europei sono in una posizione apprezzabile. In base ai numeri il continente è indietro di cinque settimane rispetto agli Stati Uniti, e le forniture di vaccini dovrebbero aumentare con regolarità. “ È troppo tardi per essere serviti per primi”, ha detto. “Ma sono messi bene”. Il belga dottor Van Gucht è d’accordo. Ma secondo lui è probabile che i leader europei traggano delle conclusioni nazionalistiche da quanto accaduto nei mesi passati.

“Secondo me abbiamo fatto un po’ troppo affidamento sul libero mercato”, ha detto. “La cosa più importante è assicurarsi di produrre i vaccini nel proprio territorio e di destinarli ai propri cittadini”.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito sul quotidiano statunitense The New York Times.

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