21 gennaio 2022 16:37

Lo volevi e hai lavorato sodo per averlo, ma tutti i tuoi sforzi sono stati vani. Magari la tua relazione è crollata, la tua azienda è finita in bancarotta o sei stato licenziato. Forse non hai superato gli esami anche se avevi studiato tanto, non hai trovato un editore per il tuo libro o hai fatto cadere la palla al momento del passaggio per il touchdown della vittoria.

Non si tratta di rimpianto, quella sensazione che si prova quando si vorrebbe aver fatto di più. È molto peggio: si è fatto del proprio meglio ma, semplicemente, non è bastato. Questo genere di fallimenti è molto doloroso e lasciarseli alle spalle a volte è difficile. Se il libro, la partita o il lavoro erano importanti per la propria identità, si potrebbe cominciare a considerare anche la sconfitta come una parte di quello che si è.

Quindi cosa si fa? Ci si può chiudere in sé stessi e sperare che il tempo guarisca la ferita. Ma forse si può scegliere di affrontare la sofferenza e gestirla in modo attivo. In questo modo non ci si limiterebbe a lenire il malessere: con un po’ di conoscenza e di pratica si potrebbe trasformare il fallimento in una fonte di crescita, perfino di felicità.

Rimuginare è controproducente
Una battuta d’arresto professionale che ci fa precipitare in una spirale, agli occhi di qualcun altro potrebbe sembrare abbastanza irrilevante. È finita con una brutta rottura dopo aver cercato di far funzionare una relazione? E a chi non è capitato? All’inizio della mia carriera da direttore una volta ho commesso un errore di strategia che ha avuto come risultato un trattamento umiliante da parte dei mezzi d’informazione. Ho detto al mio vicino – un brizzolato politico di lungo corso di Washington – che mi sentivo un fallimento a causa di quell’incidente. Dopo avermi ascoltato mi ha risposto: “Su una scala di problemi che va da zero a dieci tu sei più o meno a 0,25”.

Anche se è piccolo in confronto ad altri, ogni fallimento ha comunque un sapore amaro, soprattutto dopo aver fatto del proprio meglio. In assenza di facili giustificazioni si continua a cercare delle spiegazioni per il tracollo che semplicemente non ci sono. È una cattiva idea: rimuginare su un fallimento lo mantiene davanti agli occhi e al centro della vita e può portare al catastrofismo. Si comincia a immaginare una successione di eventi che condurranno alla rovina e alla povertà. “Sono stato licenziato. Ora nessuno vorrà assumermi, sarò per sempre disoccupato e potrei addirittura perdere la casa. La mia vita è rovinata”.

La sofferenza emotiva dopo un fallimento ha contribuito a farci imparare a non tentare due volte la stessa impresa. Nel pleistocene, sentirsi abbattuti dopo aver avuto la peggio con il grande ominide della caverna accanto probabilmente è servito a salvare la vita. Ma nel mondo più sicuro di oggi quel senso di frustrazione è disadattivo. L’emozione che la natura ha perfezionato perché entrasse in gioco quando i nostri antenati non riuscivano catturare un mastodonte, oggi prende il sopravvento quando si riceve il rifiuto di una grande università. Quel sentimento negativo non aumenta le probabilità di sopravvivenza e potrebbe addirittura causare depressione e disturbi dovuti all’ansia.

Invece di proteggere da future delusioni, ruminare su un fallimento può predisporre a ulteriori insuccessi o far perdere delle opportunità. Si è scoperto che rimuginare su una sconfitta ostacola le persone a intraprendere qualcosa di nuovo, o le spinge a farlo con grande riluttanza. Dopo aver sofferto a causa di una relazione finita male, per esempio, continuare a pensarci può indurre a concentrarsi sul passato invece che sul futuro. Si resta bloccati nel momento del fallimento, continuando a pensare e a ripensare alla sconfitta. Aumentano il timore e la sfiducia, lasciando sfuggire opportunità di nuovi successi.

Per trovare delle strategie utili a superare le peggiori sofferenze dopo un fallimento ho consultato Xiaodong D. Lin, docente di studi cognitivi al Teachers college della Columbia university, negli Stati Uniti. Per anni Lin ha studiato i fallimenti inevitabili di scienziati, atleti o persone comuni. Ecco le strategie che consiglia per superare un fallimento e per trarne addirittura dei benefici.

Pensare ai fallimenti passati degli altri (oltre che ai propri)

Medici e terapisti che curano la paura sanno da tempo che l’esposizione all’oggetto che la genera può contribuire a renderlo più ordinario e quindi meno minaccioso. Approfondendo questo concetto, diversi anni fa Lin e i suoi colleghi hanno condotto un esperimento: hanno raccontato agli studenti i successi e i fallimenti di importanti scienziati, o solo i successi. I ricercatori hanno scoperto che studiare i fallimenti motivava gli studenti a gestire meglio le loro sconfitte e li aiutava a ottenere voti molto più alti rispetto ai ragazzi che venivano a conoscenza solo dei successi degli scienziati.

Anche studiare i tuoi fallimenti può farli sembrare meno strazianti. In un articolo pubblicato nel 2010 su Nature un ricercatore suggeriva alle persone di tenere un “curriculum dei fallimenti”, una lista scritta delle cose che non hanno funzionato nella vita. Potrebbe sembrare un rimuginare, ma è molto diverso perché è scritto. Rimestare le cose in testa le fa restare nel torbido regno delle emozioni, difficili da gestire. Metterle per iscritto potrebbe costringere a uno sforzo cognitivo in più e aiutare ad avere un punto di vista più chiaro e logico sugli eventi, facendo vedere il loro lato positivo.

Smettere di desiderare il successo

Uno dei motivi per cui il fallimento può essere così devastante è che ci poniamo l’obiettivo di avere successo invece di migliorare o imparare. Dare la caccia al successo potrebbe sembrarci la strada giusta, ma è un errore, particolarmente frequente in un mondo ossessionato dai curriculum. In un’email Lin ha osservato che il valore che creiamo al lavoro e nella vita ha a che fare meno con i traguardi che raggiungiamo e più con la nostra conoscenza e la nostra esperienza, compreso quello che impariamo dopo un fallimento.

Ci sono prove evidenti del fatto che il fallimento è un potente motore di miglioramento. Gli studiosi che di recente hanno passato in rassegna i percorsi accademici di candidati a un assegno di ricerca dei National institutes of health hanno scoperto che chi non ce l’aveva fatta di poco all’inizio del suo percorso aveva avuto nel lungo periodo prestazioni migliori di chi aveva avuto subito successo.

Per rendere tangibili i benefici delle delusioni, sul curriculum dei fallimenti si può aggiungere una riga su cui annotare le lezioni imparate. Per esempio, accanto a “Non ho ottenuto il posto di lavavetri di un grattacielo” potresti scrivere “Ho imparato che soffro di vertigini”. Questa pratica aiuterà a vedere i progressi in ogni battuta d’arresto e a ricordare nel tempo che il dolore di un rifiuto è passeggero, ma la lezione appresa può essere permanente.

Mantenere al centro i propri ideali

Gli obiettivi di valore sono solitamente motivati da qualcosa di più profondo del successo. Nelle sue conversazioni con alcuni premi Nobel, Lin ha osservato come “tutti avessero una passione insaziabile e un desiderio bruciante di scoprire la verità su un problema. Per queste persone vincere un Nobel non è mai stata la ragione del loro duro lavoro”. Non è solo un principio etico, ma anche pratico. A differenza dei sogni di lodi per la vittoria, i nostri valori di fondo, quelli che ci portiamo dentro, “resistono alla disillusione”, come hanno scritto dei ricercatori nel Journal of Personality and Social Psychology.

Concentrarsi sui propri valori di fondo aiuta inoltre a capire in primo luogo perché si è deciso di correre un rischio pur di raggiungere un obiettivo. Dire “sono una persona che ama, mi rendo vulnerabile e quindi posso essere ferita” è al tempo stesso più costruttivo e forse più preciso che dire “qualcuno mi ha ferito e il dolore non ha significato”. In questo modo inoltre il prezzo dell’aver vissuto un fallimento è bilanciato dal premio che deriva dal tenere presente che persona si cerca di essere.

Alcune persone affrontano un numero di perdite e delusioni maggiore di altre, e in questo c’entrano la fortuna, le circostanze, il giudizio o perfino una tendenza a correre tanti rischi. Ma a prescindere da chi si è, il fallimento prima o poi si presenta. Non importa chiedersi se si fallirà, ma cosa fare dei fallimenti.

Chi persegue un benessere superiore trova senso e scopo anche nelle sue battute d’arresto e in seguito riesce a diventare più forte ed efficace. Thomas Edison ci offre forse il più grande esempio di questo atteggiamento. Una volta un giovane assistente di laboratorio si disperava perché aveva continuato a fare un esperimento dopo l’altro senza alcun risultato. “Nessun risultato?”, gli disse Edison. “Amico, io ho avuto moltissimi risultati. Ora conosco diverse migliaia di cose che non funzioneranno”. Che si tratti di far accendere una lampadina, candidarsi per un posto di lavoro o cercare l’amore, è questo il punto di vista giusto sul fallimento.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito sul sito del mensile statunitense The Atlantic.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it