22 gennaio 2018 11:30

Possiamo dare tre letture del voto del 21 gennaio in Germania. La prima, indiscutibile, è che il via libera concesso dall’apparato socialdemocratico alla trattativa con Angela Merkel apre la strada a un rilancio dell’Unione europea che la cancelliera tedesca e il presidente francese sostengono insieme.

A questo punto bisognerà capire a cosa porterà questo negoziato e se i militanti dell’Spd confermeranno l’approvazione alla grande coalizione. Niente è sicuro, ma resta il fatto che, se non fosse arrivato l’assenso dell’apparato, la Germania sarebbe sprofondata in una crisi tirandosi dietro l’Unione europea.

Non è stato così, ma questo non significa che ciò che va bene per l’unità europea e la stabilità politica della Germania vada bene anche per i socialdemocratici tedeschi ed europei.

Socialisti in cerca di identità
Se la decisione presa dal congresso dell’Spd è arrivata con una maggioranza di appena il 56 per cento dei voti, è perché la nascita di una terza grande coalizione in meno di 15 anni rischia, come hanno ripetuto i giovani socialisti e la sinistra del partito, di privare la più antica socialdemocrazia d’Europa delle sue radici, della sua storia e dei suoi legami con il mondo dei lavoratori. In una parola, della sua identità.

Per nulla infondata, questa può essere una seconda lettura del voto del 21 gennaio, tanto più difendibile se consideriamo che l’insieme dei partiti socialdemocratici europei, a cominciare dal Partito socialista francese, sono in cerca di una identità.

Resta la terza lettura possibile di questo voto. Molto meno consensuale rispetto alle prime due, questa valutazione parte dal presupposto che l’approvazione arrivata dal congresso della Spd non si basi solo sulla realtà dello scacchiere tedesco (anche perché non esiste maggioranza possibile a Berlino al di fuori di una grande coalizione) ma anche sulla storia del dopoguerra, e in questo senso anticipi una evoluzione in tutti i paesi dell’Unione.

I punti di contatto tra la sinistra e la destra sono rafforzati dall’ascesa dei movimenti xenofobi o radicali

Che lo si voglia o meno, per sessant’anni tutto ciò che di importante è stato fatto nei paesi dell’Europa occidentale è stato opera di partiti di destra e sinistra che condividevano il rispetto della protezione sociale, dell’economia di mercato e dell’unità europea. Questo non vuol dire che destra e sinistra fossero uguali e lo siano oggi, ma che i loro punti di contatto erano forti e oggi sono rafforzati dall’ascesa delle nuove estreme destre e dall’affermazione delle sinistre radicali.

Ormai evidente in Francia, la nuova realtà degli scacchieri politici europei è che esistono due forze radicali, a destra e a sinistra, e grandi centri che accolgono tutte le altre posizioni, da destra a sinistra. Fino a quando la logica elettorale riavvicinerà la destra più dura con l’estrema destra, questi nuovi centri rappresenteranno un partito democratico europeo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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