30 dicembre 2015 13:12

Come storia è molto triste; come metafora, spaventosa. Una donna ha passato gli ultimi quarant’anni della sua vita a cercare la nipote, figlia del figlio ucciso dai militari argentini, sequestrata nel novembre del 1976, quando aveva tre mesi, da quegli stessi militari. Nel 1977 la signora, che si chiama María Isabel Chorobik de Mariani ma che tutti conoscono come Chicha, fondò l’istituzione più rispettata del suo paese, le Abuelas de plaza de Mayo, che da allora ha ritrovato già 119 nipoti, figli di desaparecidos.

Ma lei, che con il suo impegno ha aiutato molte persone, ha ormai compiuto 92 anni, è quasi cieca e ancora non trova sua nipote. Fino a quando, qualche giorno fa, una tale María Elena Wehrli si presenta con un esame del dna di una clinica privata e dice di essere Clara Anahí, la nipote in questione. Tutti festeggiano: il paese festeggia. Per qualche ora, gli argentini si sentono gioiosamente uniti – peronisti, antiperonisti, forze al governo di ieri e di oggi, acerrimi oppositori – in una festa che sembra nobilitare tutti. Ma la gioia dura poco. Due giorni dopo arrivano i risultati di esami più seri, ufficiali, che smentiscono il rapporto genetico: la presunta nipote è una farsa.

La storia ha rattristato milioni di argentini: l’illusione perduta di una nonna che, per qualche ora, ha creduto di aver finalmente raggiunto l’obiettivo della sua vita

La storia ha rattristato milioni di argentini: l’illusione perduta di quella nonna che, per qualche ora, ha creduto di aver finalmente raggiunto l’obiettivo della sua vita per poi capire che non era vero, che era una bugia, e veder morire la sua penultima speranza. Forse l’altra donna, quella che l’ha ingannata, dovrà rispondere delle sue azioni davanti a qualche tribunale, o forse le toccherà solo la vergogna. Non sappiamo ancora perché l’ha fatto: non è difficile ipotizzare che volesse godere dei vantaggi, dei privilegi, dell’attenzione che questi nipoti ritrovati ricevono dalla società e dallo stato argentino.

Come storia è triste; come metafora è spaventosa. Dodici anni fa il governatore di una provincia della Patagonia che non aveva mai mostrato il minimo interesse per i diritti umani, che aveva sbattuto la porta in faccia alle madri di plaza de Mayo che volevano visitare la sua provincia, che si era schierato a favore dell’indulto per i militari assassini, si presentò alle elezioni nazionali e, stupendo anche se stesso, fu eletto presidente. Doveva governare, senza grande legittimità, un paese in fiamme; forse fu per questo che decise di falsificare la sua storia e di appropriarsi delle battaglie delle associazioni per i diritti umani. Ebbe successo: il suo governo riuscì a mascherare l’ingiustizia sociale, il suo clientelismo, la sua corruzione sfacciata dietro la bandiera della memoria storica.

Adesso il suo governo – quello della sua vedova – si è appena chiuso, ma probabilmente ha creato un precedente: una donna, forse bisognosa, forse fuori di testa, ha voluto usare lo stesso meccanismo a suo beneficio. Alcuni potranno dire che stavolta la vittima è stata solo una povera nonna piena di speranza. Ma è chiaro che la vittima è stata anche, come in tutti questi anni, la società argentina.

(Traduzione di Francesca Rossetti)

Questo articolo è uscito sul quotidiano spagnolo El País.

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