24 aprile 2018 12:41

Avviso agli editori: secondo me, nel mercato delle pubblicazioni sul “benessere” c’è spazio per un libro sul fatto che dormire non è poi così importante. Contrariamente a quanto continuano a predicare i guru degli stili di vita, questo libro potrebbe sostenere che quattro ore di sonno per notte probabilmente sono sufficienti, che si può benissimo prendere un caffè prima di andare a letto, che la privazione del sonno non comporta conseguenze gravi al livello di attività e di salute, e non anticipa la morte.

Ovviamente, non è quello che dice la scienza. Ma sapete una cosa? Diversamente da molti altri libri, questo aiuterebbe veramente la gente. Perché, fidatevi di uno che di tanto in tanto dorme male, non c’è niente che tenga più sveglio chi soffre d’insonnia, o trasformi in insonne chi non ha mai avuto problemi del genere, che sentirsi dire quanto sia importante dormire.

L’identità dell’insonne
E i paradossi non finiscono qui, perché è sempre più dimostrato che pensare di soffrire d’insonnia – crearsi “un’identità dell’insonne” come dice l’esperto di sonno Kenneth Lichstein – sia una delle cause principali del problema. Non è solo che, se abbiamo quell’immagine di noi stessi, facciamo più fatica ad addormentarci, anche se indubbiamente è così. È che quell’identità rende la nostra vita un inferno, anche se, in realtà, dormiamo abbastanza.

Dopo aver esaminato le ricerche in materia pubblicate l’anno scorso, Lichstein giunge alla conclusione che “chi dorme poco ma non si lamenta”, cioè non dice di soffrire d’insonnia, non ha la pressione alta comunemente associata alla carenza di sonno. Mentre, “quelli che dormono abbastanza ma si lamentano”, cioè si preoccupano molto della loro presunta insonnia, sono stanchi, ansiosi e depressi quanto quelli che veramente non dormono.

Una volta capito che se non mi riaddormento non è la fine del mondo, mi rimane incredibilmente difficile rimanere sveglio

E il guaio maggiore è che se uno è convinto di soffrire d’insonnia e chiede aiuto, peggiora la situazione. Trascina le sue stanche ossa dal medico che probabilmente gli prescrive un sonnifero. Ma a parte il fatto che queste pillole servono a poco, e spesso danno assuefazione, l’atto stesso di essere andati dal dottore supera i loro possibili vantaggi, perché rinforza l’identità dell’insonne, segnalando al nostro subconscio che abbiamo un problema grave che richiede l’intervento di un medico.

Leggendo queste cose, chi soffre di insonnia cronica potrebbe protestare dicendo che non tengo conto del suo caso, che è veramente grave. Ma non dimentichiamoci che è esattamene quello che direbbe chi si è creato l’identità dell’insonne.

Il vero problema, spiega Sasha Stephens nel suo libro The effortless sleep method, è che qualsiasi stampella esterna a cui ci appoggiamo – non solo i sonniferi ma anche tutti i rimedi a base di erbe e i complicati rituali prima di andare a letto – rischia di erodere la fiducia nella nostra capacità di addormentarci naturalmente, ed è proprio questa mancanza di fiducia in noi stessi la causa principale dell’insonnia.

Ovviamente, non vi dico di smettere di prendere i farmaci prescritti senza prima consultare il vostro medico, ma poche cose mi hanno aiutato quanto seguire uno dei numerosi consigli di Stephens e abituarmi a ricordare, se mi sveglio alle due di mattina, che quando passo una di quelle terribili notti, il giorno dopo non sto poi così male. Una volta capito che se non mi riaddormento non è la fine del mondo, mi rimane incredibilmente difficile rimanere sveglio.

Consiglio di lettura
Nel suo affascinante libro del 2005 intitolato At day’s close, una storia sociale del sonno, Roger Ekirch sostiene che prima dell’era industriale di notte la gente dormiva in due fasi separate da un’ora di veglia.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian.

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