10 marzo 2020 14:55

L’altro giorno ho aggiustato il tubo dell’acqua della nostra lavastoviglie. Ho deciso di condividere questo squarcio di vita privata in parte perché al momento le notizie dei giornali sono estremamente allarmanti, e quindi ho pensato che un banalissimo aneddoto come questo avrebbe potuto tranquillizzarvi per qualche secondo (prego!). Ma dimostra anche la saggezza di un’intuizione che ho trovato nel classico libro di autoaiuto dello psichiatra Morgan Scott Peck The road less travelled: a volte, per sistemare le cose – nella nostra cucina o nella vita – è sufficiente fermarsi un attimo, aspettare, e stare a guardare.

Peck ricorda che mentre chiacchierava con un vicino che stava aggiustando il tosaerba gli aveva rivelato la propria inettitudine in questi lavori pratici. “È perché non ti prendi il tempo necessario”, aveva risposto il vicino. Questo commento l’aveva colpito nel vivo e gli era tornato in mente qualche settimana dopo quando il freno a mano dell’auto di un suo paziente si era bloccato. Normalmente, scrive “avrei infilato goffamente la testa sotto il cruscotto, smosso un po’ di fili senza avere la più pallida idea di quello che stavo facendo, e quando non succedeva niente, avrei alzato le braccia arrendendomi”.

Invece, si era messo comodo e aveva osservato l’interno dell’auto per qualche minuto per capire da dove arrivassero i fili del freno a mano. Alla fine, aveva notato un nottolino che si era incastrato ed era bastata la pressione di un dito per sbloccarlo. Ecco fatto! Non che il problema fosse particolarmente difficile da risolvere, solo che non bisognava avere fretta di risolverlo.

Scomodo limbo
Questa perla di saggezza sarebbe utile anche solo se fosse sfruttata per aggiustare gli elettrodomestici e le automobili, ma il concetto più generale è che abbiamo sempre fretta di risolvere anche i nostri problemi personali: cerchiamo una soluzione rapida perché non riusciamo a sopportare il disagio e l’incertezza che comporta aspettare per trovare quella migliore. E così aggrediamo verbalmente i nostri partner, puniamo i nostri figli in modo inutile, abbandoniamo progetti creativi, rompiamo rapporti, e via dicendo, perché almeno così la questione “è risolta”. Ma spesso nel modo sbagliato, perché se la lavastoviglie e le automobili sono macchine complicate, gli affari umani lo sono ancora di più.

Un risultato paradossale di questo atteggiamento è che ci fa più comodo accettare di non saper fare qualcosa invece che rischiare di imparare a farla, anche se questo potrebbe rivelarsi più gratificante. C’è un certo tipo di genitori, per esempio, che secondo me, si vanta un po’ troppo di essere assolutamente incapace di fare i genitori. A dire la verità, probabilmente questo atteggiamento è meglio di quello dei perfezionisti ansiosi, eppure non possiamo fare a meno di chiederci quale sia il motivo della loro incompetenza. Forse perché non hanno voglia di impegnarsi a migliorare, cosa che comporterebbe passare un po’ di tempo nello scomodo limbo tra il momento in cui hanno riconosciuto di avere un problema e quello in cui sapranno come risolverlo?

A rendere così assurda la nostra intolleranza nei confronti dei problemi non risolti è il fatto che la vita, da un certo punto di vista, è fatta solo di problemi – o, se preferite, di “sfide” – e che una vita che ne fosse completamente priva sarebbe vuota di qualsiasi cosa che valga la pena fare, e quindi di qualsiasi valore. Perciò non ha senso affrettarsi a risolvere qualsiasi problema esclusivamente per liberarsene. Ce ne sarà sempre un altro pronto a rimpiazzarlo, e grazie al cielo.

Da ascoltare
In una puntata del podcast Deconstructing yourself, lo psichiatra Judson Brewer spiega perché vivere fino in fondo le emozioni spiacevoli è fondamentale per rompere le cattive abitudini.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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