08 giugno 2018 12:38

Dove, nel mondo, è possibile ascoltare un’ex prigioniera iraniana e una transfuga nordcoreana che paragonano le loro esperienze, le torture subite, gli stupri o le loro nuove vite in esilio? Dove si può imparare a usare la tecnologia blockchain per proteggere i propri dati e le proprie attività di militante? E ancora, dove si può ascoltare un’adolescente afgana raccontare quanto le sia costato diventare una campionessa di robotica?

Il forum delle libertà di Oslo (Off), ribattezzato la “Davos dei diritti umani”, si è svolto dal 28 al 30 maggio nella capitale norvegese, ed è tutto questo e molto altro ancora (nota di trasparenza: chi scrive ha partecipato in quanto presidente di Reporters sans frontières a un dibattito sulla “corruzione in Europa”, per parlare degli omicidi della giornalista investigativa Daphne Caruana Galizia a Malta e del giornalista d’inchiesta Ján Kuciak in Slovacchia).

L’Off è innanzitutto un tentativo di puntare i riflettori sulla questione dei diritti umani, in un’epoca in cui è spesso relegata al ruolo di variabile d’aggiustamento nelle relazioni tra stati, vittima collaterale di un nuovo clima da guerra fredda tra le potenze del momento.

Aria da guru
Circa 450 partecipanti venuti da quasi tutto il mondo hanno partecipato al decimo forum, una manifestazione sostenuta dal governo norvegese e da alcune fondazioni private, e che non ha smesso di crescere nel corso degli anni.

L’anima di Off è un uomo dal profilo complesso con un nome che più norvegese non si potrebbe, Thor Halvorssen, ma cresciuto in Venezuela e ferocemente ostile nei confronti dei regimi di Hugo Chávez ieri e di Nicolás Maduro oggi. Thor, come lo chiamano tutti all’Off, possiede una distinta aura da guru che guida combattenti per la libertà in quattro continenti ed è l’animatore onnipresente di queste tre giornate di Oslo.

Al suo fianco c’è un’altra grande personalità, Gary Kasparov, un tempo campione del mondo di scacchi sovietico e oggi deciso oppositore, dal suo esilio negli Stati Uniti, di Vladimir Putin, che avrebbe voluto sfidare alle ultime elezioni presidenziali russe. Kasparov è il presidente della Human rights foundation, che organizza il forum di Oslo. Il suo predecessore è stato il dissidente e poi presidente ceco Vaclav Havel, rimasto in carica fino alla sua morte, nel 2011.

Il forum delle libertà attira attivisti e militanti di tutto il mondo, ma possiede un’impronta culturale di chiaro stampo statunitense

Halvorssen e Kasparov imprimono il loro segno sul forum, non senza creare talvolta delle frizioni. Durante la conferenza stampa di apertura della manifestazione, un giornalista di sinistra statunitense si è attirato gli strali di Kasparov e di altri invitati per aver domandato se gli Stati Uniti facciano parte del “mondo libero”, un’espressione spesso usata dai promotori del forum.

Kasparov ha risposto con durezza, accusando il giornalista di aver fatto una domanda vergognosa e ricordando come, avendo subìto prima il regime comunista e poi quello di Putin, sia invece in grado di capire bene la differenza tra libertà e oppressione. “Potete andare a manifestare davanti alla Casa Bianca e dire a Donald Trump che è un verme, poi rientrare tranquillamente a casa vostra, sapendo che alle prossime elezioni potrete cacciarlo. In Unione Sovietica ieri o sotto Putin oggi niente di tutto questo è possibile”, ha dichiarato infastidito l’ex campione di scacchi.

Un altro degli invitati, l’esule iraniano Maziar Bahari, ha proposto dal canto suo, guardando negli occhi il giornalista statunitense che aveva posto la domanda, di aggiungere al forum un dibattito sugli “utili idioti”, riprendendo la formula attribuita a Lenin per descrivere quanti, senza essere comunisti, facevano il gioco dell’Unione Sovietica. Niente male come ambiente.

Anche se il forum delle libertà attira attivisti e militanti di tutto il mondo, sinceramente impegnati in lotte per la libertà nel loro paese, possiede comunque un’impronta culturale di chiaro stampo statunitense, sia nella forma sia nei contenuti. I suoi organizzatori vivono peraltro negli Stati Uniti.

Intransigenza e ambiguità
Il forum pone l’accento sulle storie individuali, secondo format narrativi ispirati alle conferenze TEDx, con una persona che si racconta da sola su un palco. Le testimonianze sono forti, talvolta sconvolgenti, stimolanti, e permettono di attirare l’attenzione sulle cause dimenticate o poco seguite dai mezzi d’informazione, come quelle della minoranza anglofona del Camerun o quella degli uiguri musulmani in Cina. Il forum ha anche i suoi bersagli d’elezione come la Russia di Putin – con un deciso sostegno all’Ucraina (era presente a Oslo l’ex presidente ucraino Viktor Juščenko) – o il Venezuela di Maduro – (l’esponente dell’opposizione venezuelana ed ex sindaco di Caracas, Antonio Ledezma, è stato accolto con un’ovazione).

La conferenza di Antonio Ledezma, 30 maggio 2018. (Oslo freedom forum)

I protagonisti del forum si presentano come difensori di un’idea intransigente di democrazia liberale, una nozione presa oggi d’assalto dai regimi autoritari e dai movimenti populisti. Ma mantengono una certa ambiguità sulla loro “agenda” politica: i loro discorsi hanno talvolta delle sfumature “alla Kouchner” (fondatore di Medici senza frontiere poi ministro di Nicolas Sarkozy in Francia), un sincero slancio per i diritti umani poi passato al servizio della dottrina del “cambiamento di regime” dei neoconservatori, ovvero il sostegno all’intervento armato occidentale per imporre la democrazia, come in Iraq nel 2003 o in Libia nel 2011, con i risultati che conosciamo.

Un’avventura spedita
Il forum di Oslo non si spinge a tanto e non supera mai la frontiera invisibile che può portare dei militanti per i diritti umani a forzare il destino con missili e carri armati. Influenzato dalle utopie della Silicon valley, si affida semmai alle promesse vertiginose della tecnologia, molto presente nei dibattiti nella capitale norvegese. Oltre alle appassionanti conversazioni sulle buone pratiche tra militanti di diverse regioni del mondo, ai seminari sulla sicurezza informatica o agli stand che presentano le ultime novità della tecnologia blockchain applicata all’impegno civico, esiste un aspetto più “messianico” che sostiene le “utopie tecnologiche” del ventunesimo secolo.

Quando prende la parola sul palco di Oslo, Jason Silva, anche lui venezuelano di nascita, si presenta come un telepredicatore. Ma non parla di dio, bensì dell’avvenire radioso promesso dalla tecnologia, oppure della “singolarità”, quel punto di svolta nel progresso dell’intelligenza artificiale che renderà la macchina più forte dell’uomo. Uno dei suoi riferimenti più forti è Ray Kurzweil, cofondatore dell’Università della singolarità in California, che lavora oggi per Google.

Il forum sulla libertà di Oslo è nato dieci anni fa ed è notevolmente cresciuto in questi ultimi anni. Come accaduto all’“originale” di Davos”, ha cominciato a creare degli epigoni: un’edizione in Messico per l’America Latina, una a New York per l’America del nord, una a Johannesburg per l’Africa e presto una a Taiwan per l’Asia.

Un’avventura che procede quindi spedita, sostenendo il vessillo dei diritti umani troppo spesso dimenticato oggi (come nei negoziati sul nucleare nordcoreano, per esempio) a vantaggio della realpolitik. Ma che porta con sé anche una buona dose d’ambiguità, che la sincerità dei partecipanti non riesce del tutto a dissipare.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it