23 gennaio 2019 11:27

I gilet gialli non lo sanno ancora, ma hanno costretto il presidente francese Emmanuel Macron a cambiare la sua strategia per le elezioni europee del 26 maggio. La dicotomia “progressisti contro nazionalisti”, ribadita fino a poco tempo fa dal presidente, sarà abbandonata per la prossima campagna elettorale.

Indebolito dalla crisi dei gilet gialli, Macron non può permettersi un fallimento alle europee. La dichiarazione di guerra contro i nazionalisti è un tema considerato troppo divisivo in un momento in cui la Francia vive già una crisi sociale che ha evidenziato profonde fratture.

Non solo sarebbe pericoloso accentuare le divisioni, ma c’è anche un rischio politico in questa visione del mondo nel momento in cui Macron si trova in prima linea.

L’esempio italiano
Il presidente tornerà al tema più classico dell‘“Europa che protegge”, già presente nei discorsi della campagna elettorale del 2017 e giudicato più unificante. La scelta riflette una situazione molto tesa in tutta Europa.

La separazione tra progressisti e nazionalisti è emersa quando la coalizione tra l’estrema destra e i populisti ha vinto le elezioni in Italia, la scorsa primavera. Da quel momento sono cominciati gli attriti con la Francia, soprattutto sul tema dell’immigrazione.

Quando Matteo Salvini, vicepremier italiano e capofila della Lega, ha incontrato il primo ministro ungherese Viktor Orbán, i due hanno scelto come bersaglio proprio Emmanuel Macron. Poco a poco si è creata una rivalità tra l’Europa franco-tedesca, liberale e globalista, e l’asse Italia-Ungheria, antimmigrazione e sovranista.

Questa separazione netta e facile da comprendere andava bene a entrambi gli schieramenti, soprattutto a Macron che riteneva vantaggioso poter ricreare, per gli europei, il duello del secondo turno delle presidenziali in cui ha ottenuto la vittoria.

Non è sul terreno ideologico che Macron dovrà convincere, ma su quello dei fatti

Ora le tensioni con l’Italia contribuiscono al cambiamento di direzione di Macron. Il rischio di sfaldare l’Europa nei mesi della campagna elettorale, evidentemente, è sembrato troppo grande.

Da qualche giorno, i leader della coalizione italiana, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, si sfidano in una gara di attacchi contro la Francia, in quella che appare chiaramente una fase della loro rivalità. Il presidente francese ha deciso di non rispondere personalmente per non inasprire la polemica, ma l’ambasciatrice italiana è stata convocata al ministero degli esteri di Parigi.

L’episodio del trattato franco-tedesco, firmato il 22 gennaio a Aix-la-Chapelle, con il suo codazzo di false informazioni e fantasmi, ha dimostrato che non è sul terreno ideologico che Macron dovrà convincere, ma su quello dei fatti.

Dunque non si parlerà più di progressisti, ma di pedagogia attorno alle virtù di questa Europa in un mondo tornato a essere pericoloso per colpa di Trump e Putin, di un’Europa che ha le dimensioni per affrontare le grandi aziende tecnologiche e la Cina. Meno brio e più umiltà. Questo consigliano i tempi politici in cui viviamo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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