03 dicembre 2021 10:09

Viviamo in un’epoca in cui un leader può ordinare di fare a pezzi un giornalista e restare comunque un interlocutore accettabile. Parlo di Jamal Khashoggi, il giornalista saudita ucciso su commissione all’interno del consolato saudita di Istanbul il 2 ottobre 2018, e del principe ereditario Mohammed bin Salman, che il presidente francese Emmanuel Macron incontrerà nel corso della sua rapida visita nel golfo Persico (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar) il 3 e 4 dicembre.

Macron diventerà così il più importante leader occidentale a riallacciare i contatti con il principe ereditario dopo un “purgatorio” durato tre anni. Certo, Bin Salman, conosciuto con la sigla Mbs, è stato ricevuto a Pechino da Xi Jinping e l’anno scorso ha incontrato in segreto Benjamin Netanyahu, all’epoca primo ministro israeliano. Ma Joe Biden continua a rifiutarsi di parlargli al telefono.

Macron sarà il primo capo di stato in occidente a infrangere il tabù della stretta di mano con un leader che ha una pesante responsabilità per uno degli omicidi più crudeli (e meglio documentati) del periodo recente.

Reintegro politico
Alla fine la diga non ha retto. Tutti aspettavano di vedere cosa avrebbe fatto Biden con il principe dopo essersi installato alla Casa Bianca. A febbraio Washington ha reso pubbliche le conclusioni dei servizi segreti sul caso Khashoggi, tenute segrete da Donald Trump. Il documento assegna direttamente al principe la responsabilità dell’omicidio del giornalista, rifugiato negli Stati Uniti e collaboratore del Washington Post.

Dopo questo gesto spettacolare, però, l’amministrazione americana ha punito solo figure subalterne, avvertendo Riyadh che eventuali azioni contro i dissidenti all’estero “non saranno tollerate”. In altri termini: non ci riprovate. Al contempo, nonostante Biden non parli direttamente con Mbs, il suo consulente per la sicurezza Jake Sullivan lo ha incontrato. Business as usual, insomma.

La Francia, dunque, si limita a spingersi un po’ più in là nel processo di reintegro di Mbs nel circuito politico. La realpolitik ha vinto, insieme alla logica strategica ed economica.

Quali lezioni possiamo trarre da questa vicenda? La prima è che l’impunità ha trionfato. Oggi non esiste un consenso internazionale intorno all’idea di giustizia, né istanze capaci di incarnarla. Le Nazioni Unite o la Corte penale internazionale non hanno più questo ruolo.

La seconda lezione è un interrogativo amaro: se un alleato degli Stati Uniti e della Francia può assassinare un dissidente esiliato senza pagare alcun prezzo, che peso hanno le critiche rivolte a Putin o ad altri autocrati? Non possiamo utilizzare criteri diversi per amici e rivali.

La terza lezione è anch’essa legata ai rapporti di forza nel mondo attuale: le potenze regionali come l’Arabia Saudita non sono più dipendenti dalla protezione statunitense come in passato. La dinamica regionale prevale, e la sorte di un giornalista non è poi così importante.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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