03 giugno 2022 10:02

Questa settimana il celebre giornalista del New York Times Thomas Friedman ha fatto una sorprendente autocritica. Friedman ha ammesso di aver presunto che l’Europa, dopo l’iniziale slancio emotivo davanti all’invasione dell’Ucraina, avrebbe ripreso in fretta le proprie abitudini rispetto alla Russia, ma dopo una visita in Europa ha voluto scrivere “avevo torto” per ben tre volte, per evitare qualsiasi dubbio.

La sorpresa di Friedman è la stessa che ha colto gli europei. Se è giusto non fidarsi troppo dei giudizi netti come “niente sarà più come prima”, bisogna riconoscere che la guerra in Ucraina ha avuto un impatto più profondo di quanto si immaginasse all’inizio.

L’ultimo segnale di questa onda d’urto è il risultato del referendum organizzato in Danimarca, con cui due terzi dei danesi hanno affermato la volontà che il loro paese si unisca al sistema di difesa europeo. Nel 1992 la Danimarca aveva attivato una clausola di esclusione sulle questioni della difesa in occasione dell’adozione del trattato di Maastricht. Trent’anni dopo, la guerra in Ucraina ha spinto i danesi a cambiare rotta.

Svolte storiche
La decisione va accostata a quelle della Finlandia e della Svezia, che hanno scelto di rinunciare alla propria neutralità e chiedere l’adesione alla Nato. Anche in quel caso di è trattato di una svolta storica.

L’aspetto positivo è che esiste un’incontestabile presa di coscienza, da un capo all’altro dell’Europa, della necessità di esistere in quanto potenza (una parola tabù in alcuni paesi) per difendere gli interessi collettivi degli europei. Siamo ben lontani dalla semplice zona di libero scambio sognata dai britannici.

Questo balzo in avanti si accompagna a sfide considerevoli

Come sappiamo bene, l’Europa avanza solo attraverso le crisi. Il covid-19 ha evidenziato numerose debolezze dell’Unione, ma i 27 sono riusciti a superare la crisi creando il fondo di rilancio e accettando per la prima volta una parte di debito condiviso. Con la guerra in Ucraina sta accadendo la stessa cosa: il conflitto ha fatto cambiare marcia all’Unione europea sulle questioni legate alla difesa e alla sovranità. Ma questo balzo in avanti si accompagna a sfide considerevoli.

La principale è quella della coesione. Più questa guerra si prolungherà e più metterà a dura prova l’unità dei 27, o meglio dei 26, perché bisogna già mettere da parte il caso dell’Ungheria di Viktor Orbán, un fronte di opposizione in sé.

Anche tra gli altri paesi, in occasione del vertice di Versailles del marzo scorso, sono emerse tensioni tra il fianco orientale, più vicino alla minaccia russa, e quello occidentale. Queste contraddizioni rischiano di farsi sentire nel conto alla rovescia che ci separa dal prossimo consiglio europeo, a fine giugno, quando bisognerà studiare la candidatura dell’Ucraina e la proposta francese di creare una Comunità politica europea.

Questi due argomenti che cristallizzano i nuovi rapporti di forza all’interno dell’Unione europea ne riveleranno la capacità di definire una strategia comune a medio e lungo termine per tutto il continente, compresi i Balcani e l’Ucraina. Ci sono tutti gli elementi affinché l’Europa esca rafforzata da questa prova collettiva che probabilmente durerà nel tempo. A condizione di non lasciare che il virus della divisione prevalga, come spera Vladimir Putin.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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