11 aprile 2023 09:53

Nessuno vuole la guerra: non la vuole la Cina (malgrado le apparenze), non la vogliono gli Stati Uniti e soprattutto non la vogliono i taiwanesi. Eppure, da tre giorni, tutti giocano a intimidire l’avversario nella contesa che riguarda quest’isola popolata da 24 milioni di persone e diventata, come ha titolato qualche anno fa il settimanale l’Economist, “il luogo più pericoloso al mondo”.

I mezzi dispiegati dall’esercito popolare di liberazione cinese sono considerevoli, con la presenza della portaerei Shandong, fiore all’occhiello della marina di Pechino, e la comparsa nei cieli del nuovo aereo da combattimento cinese J-15. Le manovre militari, che hanno violato ripetutamente la zona di identificazione aerea taiwanese, hanno l’aria di una prova generale dell’eventuale invasione dell’isola.

In questo clima di estrema tensione, un cacciatorpediniere statunitense ha effettuato una missione di libertà di navigazione nelle acque internazionali, proprio nel mezzo dell’esercitazione della marina cinese.

Crisi in peggioramento
Nessuno vuole la guerra, dicevamo. Ma la guerra è chiaramente alla mercé di un incidente e di un’escalation indesiderata. Soprattutto lo scontro armato è ormai un’opzione realistica nel contesto di una crisi che presenta tutti gli ingredienti per un peggioramento nei prossimi mesi e nei prossimi anni, anche perché al momento sembra non esistere una buona soluzione.

Pechino non può certo accettare senza reagire la tappa di viaggio negli Stati Uniti della presidente taiwanese Tsai Ing-wen e soprattutto il suo incontro in California con il presidente della camera dei rappresentanti, il repubblicano Kevin McCarthy. Eppure, probabilmente grazie al fatto che McCarthy non ha visitato Taiwan, la reazione è stata meno drammatica rispetto all’anno scorso, quando la presenza di Nancy Pelosi a Taipei aveva provocato il lancio di missili sui cieli dell’isola.

La scadenza cruciale arriverà nel gennaio 2024, quando si terranno le elezioni presidenziali e legislative a Taiwan

In ogni caso il messaggio resta chiaro: come sottolinea Xi Jinping, Taiwan “è il cuore” della politica cinese. Il numero uno cinese ha addirittura confidato ai suoi ospiti che qualsiasi velleità di indipendenza dell’isola costituisce per lui “un’umiliazione personale”.

Ma davvero la Cina è disposta a lanciarsi in un’avventura militare per conquistare Taiwan? Non nell’immediato, prima di tutto perché l’esercito cinese non è pronto, e in secondo luogo perché Pechino ha ancora altre opzioni.

La scadenza cruciale arriverà a gennaio dell’anno prossimo, tra meno di un anno, quando si terranno le elezioni presidenziali e legislative a Taiwan, paese realmente democratico che ha già vissuto diverse alternanze politiche.

La presidente in carica, proveniente dal Partito democratico progressista (Dpp) storicamente favorevole all’indipendenza ma oggi più incline a mantenere lo status quo, non potrà ripresentarsi dopo aver completato il secondo mandato. La sfida, di conseguenza, sarà tra il suo vicepresidente Lai Tching-te, che difenderà i colori del Dpp, e un candidato ancora da scegliere all’interno del principale partito d’opposizione, il Kuomintang, erede del generale Chiang Kai-shek (rivale di Mao) e più favorevole a un riavvicinamento con Pechino.

La Cina ha tutto l’interesse a favorire una vittoria del Kuomintang, dunque presenterà la sfida in termini drastici: da un lato la pace in caso di vittoria del Kuomintang, dall’altro la guerra con l’affermazione del Dpp… La maggioranza dei taiwanesi è ostile a qualsiasi riunificazione con la Cina continentale, ma di sicuro possiamo attenderci un intenso lavoro di logoramento psicologico da parte di Pechino.

Se le previsioni saranno confermate e il Dpp vincerà nuovamente le elezioni entreremo in una fase molto pericolosa, perché a quel punto una evoluzione pacifica della vicenda risulterebbe improbabile. E forse guarderemo davvero alle manovre degli ultimi giorni come a una prova generale di invasione.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Oggi nel podcast il Mondo trovate un approfondimento di Junko Terao sulla crisi tra Cina e Taiwan

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