Ora si comincia a fare sul serio. Il 12 febbraio Donald Trump ha sorpreso il mondo annunciando che, dopo una telefonata di novanta minuti con Vladimir Putin, comincerà “immediatamente” un negoziato per mettere fine alla guerra in Ucraina.
La notizia solleva una serie infinita di domande, sul tipo di trattativa e su quello che può produrre. Sono domande che riguardano in primo luogo gli ucraini, ma che hanno implicazioni enormi anche per il futuro dell’Europa.
La prima riguarda il significato dell’accordo fra Trump e Putin. Dopo aver parlato con il presidente russo, quello statunitense ha chiamato Volodymyr Zelenskyj: l’Ucraina sarà quindi un attore di primo piano o semplicemente l’oggetto dei negoziati? Fino a dove intende spingersi Trump nel suo riavvicinamento a Putin, da cui è affascinato ormai da tempo?
Il 12 febbraio, prima dell’annuncio del presidente statunitense, una fonte ucraina mi ha detto che Kiev aveva ricevuto rassicurazioni sul fatto che la Casa Bianca non si metterà d’accordo con la Russia, scavalcando l’Ucraina. Il timore che succeda esiste ancora, ma quanto meno ora il negoziato non è segreto.
Su quali basi si negozierà? Il 12 febbraio il nuovo capo del Pentagono Pete Hegseth è andato per la prima volta a Bruxelles, dove è stato categorico: “In Ucraina il ritorno alle frontiere precedenti il 2014 non è un obiettivo realista”, ha dichiarato. Addio quindi alla Crimea, occupata dalla Russia nel 2014, oltre che a una parte del Donbass e alle conquiste di Mosca successive al 2022.
In privato gli ucraini sono rassegnati a perdere territori, anche se sottolineano quanto sarà difficile far ingoiare questo boccone amaro a una popolazione a cui sono stati imposti sacrifici terribili.
Ma il modello tedesco si è ormai fatto strada, basato su una divisione simile a quella vissuta dalla Germania, in attesa di tempi migliori e di una riunificazione anch’essa sulla linea di quella che Berlino ha ottenuto dopo quarant’anni, quando il disgelo della guerra fredda lo ha permesso. Per Kiev è una concessione colossale.
Se le cose andranno davvero così, come sarà possibile garantire la sicurezza dell’Ucraina? Questa è la domanda fondamentale. Un funzionario ucraino mi ha spiegato che esistono solo due garanzie di sicurezza: la bomba atomica e l’ingresso nella Nato. Attualmente, nessuna delle due è accessibile per l’Ucraina in caso di armistizio, dunque bisogna trovare un altro strumento per dissuadere la Russia dall’idea di attaccarla ancora.
Ed è qui che entra in ballo l’Europa, anche se Zelenskyj continua a chiedere la partecipazione attiva degli Stati Uniti a qualsiasi accordo di sicurezza postbellico. Il ruolo di Bruxelles sarà tanto più determinante se consideriamo che il 12 febbraio il capo del Pentagono ha inviato un segnale ambiguo sull’impegno statunitense, sottolineando che Washington non è “concentrata in modo prioritario” sull’Europa, e che quest’ultima deve assumere l’iniziativa nella difesa dell’Ucraina. Resta da capire se, almeno, sarà presente al tavolo del negoziato.
Si tratta di una sfida complessa per l’Unione (che con ogni probabilità non è ancora pronta ad affrontare), soprattutto davanti a un paese come la Russia, le cui spese militari nel 2024 sono state superiori a quelle complessive dei 27 stati europei, e a un’Ucraina che sogna di entrare in Europa ma pretende una garanzia statunitense. Le prossime settimane, quindi, saranno decisive: per Kiev, ma anche per Bruxelles.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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