Donald Trump non è responsabile del disordine mondiale. La novità, da quando è tornato alla Casa Bianca, è che la sua attività ha contribuito al caos, mettendo in pratica il desiderio di abbattere l’ordine esistente. Ma va riconosciuto che quel disordine era già presente prima della sua elezione.

Per comprendere cosa sta facendo l’amministrazione Trump basta ascoltare le parole dei suoi rappresentanti. Il 15 gennaio, in occasione della conferma in senato dell’incarico di segretario di stato, Marco Rubio ha dichiarato che “l’ordine mondiale del dopoguerra non è solo obsoleto, ma è anche diventato un’arma utilizzata contro di noi”, per poi aggiungere che “ancora una volta siamo chiamati a creare un mondo libero a partire dal caos”.

È questa la frase chiave del disordine attuale. L’equilibrio instaurato nel 1945, alla fine della seconda guerra mondiale, è stato largamente plasmato dagli Stati Uniti, la potenza dominante a livello globale. I detrattori di quest’ordine, come la Cina o i paesi del sud, ne criticano l’eccessivo “americanismo”. Ma ecco che da difensori accaniti dell’ordine mondiale in pericolo, gli statunitensi sono entrati nei ranghi di quelli che lo vogliono smantellare.

Può sembrare paradossale, ma Trump è convinto che l’ordine esistente – con le sue alleanze, istituzioni internazionali e regole – porti più benefici ad altri che a Washington: dall’Europa che non paga abbastanza per la sua difesa alla Cina che incide sul deficit statunitense, fino ai paesi del sud, che complottano contro il dollaro, e perfino ai tradizionali alleati canadesi.

Trump, più che isolazionista, è imperiale. Vuole essere rispettato attraverso la forza, e non affidandosi a trattati che nessuno rispetta. Il paradosso è che il presidente ha adottato lo stesso comportamento della Russia di Vladimir Putin e della Cina di Xi Jinping. Anche Mosca e Pechino rifiutano l’ordine esistente e aspirano a modificarlo.

Questo non significa che Trump, Putin e Xi siano alleati, ma resta il fatto che condividono una visione del mondo che avvantaggia i grandi a scapito dei piccoli. I tre leader credono nelle sfere d’influenza e attaccano senza sosta il vecchio mondo.

Trump aggiunge a tutto questo una dimensione tipicamente statunitense: il presidente, infatti, vuole restare il padrone del mondo e affermarsi come new sheriff in town, il nuovo sceriffo sul palcoscenico globale.

E il ruolo dell’Europa in questo mondo sempre più sregolato? L’Unione è un po’ il villaggio di Asterix del vecchio ordine internazionale, l’unica parte del mondo a rispettare ancora le regole e le alleanze. Ma oggi si risveglia circondata dalla brutalità.

L’Europa democratica ha comunque una carta da giocarsi in questo grande rimescolamento: quella della reinvenzione di un ordine globale che non sia di Trump, Xi o Putin, ma di un vero mondo multipolare fondato sulle norme e capace di fare spazio a chi in passato non ne aveva.

Questo, per l’Unione, significa elaborare il lutto della protezione statunitense perduta e tessere nuove relazioni con le aree del mondo che l’occidente ha emarginato.

Forse è questa l’unica strada che può portare a un nuovo ordine mondiale non fondato sul dolore, e soprattutto non imposto da giganti dall’egoismo sconfinato.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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