“Amico, tutto ciò che separa è santo”: sembra quasi di sentir parlare William S. Burroughs e Jack Kerouac durante uno dei loro naufragi a Tangeri, senza sapere chi sta parlando a chi. Invece è il primo verso di Santo, un brano di Stanza 218, disco atipico, incantato e accidentato degli El Muniria, formazione con la voce di Emidio Clementi a cui si affiancano Massimo Carozzi e Dario Parisini. Già la storia del disco è una canzone, a suo modo: nel 2002 si sciolgono i Massimo Volume – si sono riformati nel 2008, forse la band sopravvissuta meglio a quella stagione del rock autonomo italiano grazie alle sue venature radicali e mistiche – e nel giro di dieci giorni Clementi parte per Tangeri, in Marocco, insieme a Carozzi e Parisini.

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Vogliono scrivere il disco in albergo, ma il tentativo naufraga, e il lavoro viene completato a Bologna. Esce nel 2004, approdando a risultati che fanno pensare alla calma sospesa e sdoppiata rievocata da Tommaso Pincio in quel bel libro che era Hotel a zero stelle, ma torna nei negozi oggi grazie all’etichetta Love Boat, che ha la felice intuizione di dedicare una rilettura e una serie di remix a cura di Arrogalla, Blak Saagan, Spano e altri artisti. Viene rievocato un disco conosciuto a pochi, amplificandone il potenziale rivelatorio. Sovrapporre le riedizioni ai pezzi del 2004 è un esperimento gratificante, condizionato da quella che verrebbe definita “composizione ad anello”, la tecnica per cui si apre uno squarcio in un’altra dimensione narrativa, e ci si perde, solo per raccordarsi al punto di partenza. In mezzo c’è un viaggio, Fino in fondo, in uno Shalimar Hotel. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1439 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati