**◆ **“Scrivere di una persona reale e scrivere di un personaggio immaginario alla fine dei conti è la stessa cosa: bisogna ottenere il massimo dell’immaginazione di chi legge utilizzando il poco che il linguaggio ci offre”, dice Emanuele Trevi in Due vite (Neri Pozza), un libro intenso dove racconta di due amici, entrambi scrittori, entrambi morti: Rocco Carbone e Pia Pera. Le parole di Trevi sono importanti perché cancellano, a occhio e croce, la linea letteraria di demarcazione tra resa del reale e resa dell’immaginario. Avete da raccontare cose vostre o cose d’altri? Vi siete inventati di sana pianta persone ed eventi? Il problema è lo stesso e rimanda a un’unica abilità: saper usare il linguaggio in modo da stimolare al massimo l’immaginazione di chi deve decifrare le combinazioni alfabetiche, cioè il lettore. Sembra facile ma non lo è: il reale è straricco, l’immaginario pure, i confini tra l’uno e l’altro sono confusi, il linguaggio arranca (e altro merito di Trevi è sottolinearlo). Ma quando il compito è ben eseguito, si prova, innanzitutto come lettori, un grande sollievo. In _Due vite _ persone reali non perdono il loro statuto e tuttavia hanno la potenza dei personaggi immaginari. La loro vita, i loro sentimenti, la loro morte accidentale o per malattia ci accende l’immaginazione con la stessa forza delle finzioni dove cova un nocciolo originario di verità.

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Questo articolo è uscito sul numero 1366 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati