Siamo minuscole tessere di un unico puzzle? Disegniamo il nostro infinitesimale frammento di vita con testi dentro cui ci pare di ficcare solo la nostra voce, mentre in effetti stiamo contribuendo a una composizione ben più ampia? Alla fin fine, con i nostri diari e lettere, con versi e romanzi e saggi, anche con uno sgorbio sui muri, collaboriamo a un ipertesto che ci trascende? Sì. Registrando singole voci e poi trascrivendole, sforbiciando scritture private, è possibile – si sa – fare la storia di una fabbrica, di una scuola, di un paesello, di una città, di una nazione, di una guerra e delle sue vittime. Forse in linea teorica, montando versi, prose, romanzi, si potrebbe persino disegnare il profilo dell’intero genere umano negli ultimi cinquemila anni. La cosa viene in mente leggendo Nonostante tutte di Filippo Maria Battaglia (Einaudi 2022), che assembla frammenti estratti dall’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano. L’esperienza individuale è sentita come un momento della vita collettiva e l’ambizione è ottenere un’unica figura di donna novecentesca con le memorie scritte di 119 vite femminili. Il meglio è nella singolarità, che so, di violazioni ortografiche come “ho lasciami andare ho ti faccio la pipì addosso” e formulazioni tipo “svenimento addominale”, “serrai la bocca girando la testa in qua e in là”, “chiesi al castagno”.

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Questo articolo è uscito sul numero 1452 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati