07 febbraio 2019 09:47

Quello che non ha fatto il regime sovietico, lo ha fatto il chavismo. “Se il Sahara diventasse socialista, dopo sei mesi comincerebbe a importare sabbia”, diceva una delle più vecchie battute del blocco comunista e questo si è avverato nel Venezuela di Hugo Chávez e del suo successore Nicolás Maduro.

Proprietario delle più grandi riserve del mondo, il Venezuela è oggi importatore di petrolio. Questo paese che avrebbe tutti i mezzi per garantire un lavoro e un reddito decente alla sua popolazione, si è gravemente deindustrializzato.

L’inflazione è diventata galoppante. Conseguenza della miseria, la criminalità è diventata così alta nel paese che gli automobilisti non lasciano aperto il finestrino per paura di farsi strappare l’orologio ed è sconsigliato camminare nelle città anche se i mezzi pubblici si fanno sempre più rari.

I professori universitari hanno un secondo o un terzo lavoro perché il loro stipendio non basta più a sfamarli. “Che cosa ti porto?”, ha chiesto di recente un’economista francese a uno dei suoi colleghi venezuelani e la risposta è stata: “Dentifricio e dello shampoo”. In altre parole la situazione è tale che tre dei 31 milioni di venezuelani sono andati in esilio nei paesi vicini, e questa ondata di profughi continua a crescere provocando ogni giorno una crisi regionale sempre più preoccupante.

Insomma, anche se è stato Trump a dirlo in modo più chiaro e anche se è evidente che non sia estraneo alla decisione del presidente del parlamento Juan Guaidó di dichiararsi “presidente ad interim”, questa situazione non può più continuare.

Non dimentichiamo che le ingerenze russe e cinesi sono altrettanto forti di quelle degli Stati Uniti

È ora che questa situazione finisca perché la tragedia venezuelana non è senza soluzione, perché altre mosse politiche possono mettervi fine e non è nell’interesse di nessuno né che questa situazione continui e destabilizzi un’America Latina che non ne ha certo bisogno né che si arrivi progressivamente a un braccio di ferro tra gli Stati Uniti da un lato e la Cina e la Russia dall’altro. Due paesi che hanno cominciato a estendere i loro interessi in questo paese mentre le loro relazioni con Washington sono ai livelli più bassi.

“Ingerenza” diranno alcuni, “imperialismo” diranno altri. Sì è probabile, anzi è in gran parte vero, ma non dimentichiamo che l’ultima elezione di Maduro è stata caratterizzata da irregolarità, che diverse persone dell’opposizione non hanno potuto prendere parte alla votazione, che la costituzione venezuelana attribuisce i poteri presidenziali ad interim al presidente del parlamento quando c’è vacanza di potere e che le ingerenze russe e cinesi sono altrettanto forti di quelle degli Stati Uniti.

Se si dimentica per un momento che la politica estera di Donald Trump è del tutto incoerente, poiché ritira gli Stati Uniti dal mondo nello stesso momento in cui cerca di cambiare la situazione a Caracas, siamo costretti ad ammettere che quello che fa in Venezuela non è molto criticabile e che per ora sembra fare affidamento più sulle pressioni economiche e sugli aiuti umanitari che sull’esercito per costringere Maduro a ritirarsi.

Un cambiamento che non si ripeterà
Ma indipendentemente da Trump, Maduro deve andarsene e nel dirlo gli europei (con l’eccezione dell’Italia, dell’Ungheria, dei paesi con strette relazioni con la Russia) non si sono allineati sulla posizione americana, non si sono comportati da quei vassalli che non sono più, ma hanno semplicemente detto una cosa giusta.

La speranza è che quell’esercito che il successore di Chávez ha tanto favorito finisca per lasciarlo, che una guerra civile sia evitata e che una nuova epoca si apra in Venezuela, ma… Sì, c’è un ma.

Di fatto Hugo Chávez è stato molto popolare perché aveva usato la rendita petrolifera e il boom dei prezzi del petrolio degli anni duemila per sviluppare una politica sociale che aveva favorito i più poveri con una riduzione dei prezzi alimentari e con programmi di istruzione e di vaccinazione.

Questo rappresentava un cambiamento rispetto a decenni di ingiustizie sociali e alla selvaggia repressione, con diverse migliaia di morti, delle rivolte del 27 e 28 febbraio 1989. Chávez è stato l’eroe dei poveri, ma lo è stato svuotando le casse dello stato, nazionalizzando interi settori dell’industria e sacrificando – cosa ancora più grave – gli investimenti produttivi e in particolare la modernizzazione del settore petrolifero.

In Chávez c’era generosità, un orgoglio nazionale che gli faceva odiare gli Stati Uniti, ma la sua megalomania e la sua incompetenza hanno purtroppo ricordato fino a che punto la strada dell’inferno sia lastricata di buone intenzioni. Alla sua morte, nel 2013, il chavismo faceva acqua da tutte le parti e il suo successore non ha saputo risanare la situazione ma solo accentuare l’autoritarismo del potere che aveva ereditato.

Una cosa impensabile solo qualche mese fa, negli ultimi giorni diverse bidonville si sono unite alle manifestazioni contro di lui. Ormai non è impossibile che Maduro debba abbandonare il potere, ma sarebbe un peccato se questo dovesse favorire un ritorno al periodo di “Viva i ricchi, abbasso i poveri!” che aveva caratterizzato il paese prima di Chávez. Sarebbe triste e pericolosamente stupido.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

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