19 dicembre 2018 11:21

Il messaggio ha il merito di essere chiaro: “Nessun padrone può sottomettere il popolo cinese”. L’uomo che ha pronunciato queste parole è il presidente cinese Xi Jinping, che senza nominarlo si è rivolto a Donald Trump, il “padrone” degli Stati Uniti.

La precisazione di Xi è arrivata il 18 dicembre sullo sfondo della sfarzosa grande sala del popolo di Pechino, in piazza Tiananmen, all’interno di un discorso-fiume di un’ora e mezza per celebrare il quarantesimo anniversario delle riforme avviate dopo la morte di Mao che hanno permesso alla Cina di diventare la seconda potenza economica mondiale, in marcia verso il primo posto.

Le ragioni di questa puntualizzazione inflessibile sono legate alle tensioni crescenti tra le due grandi potenze in tutti gli ambiti, dal commerciale al tecnologico passando per quello strategico. Xi ha voluto parlare a Donald Trump ma anche al popolo cinese, soffiando sulle braci di un nazionalismo che non aspetta altro.

Una smentita clamorosa
Il presidente cinese ha incontrato il suo collega statunitense dieci giorni fa in Argentina, dove i due leader si sono concessi tre mesi di tempo per trovare un compromesso nella guerra commerciale che li coinvolge. Trump ha subito scritto un tweet trionfale, innervosendo Xi.

Il discorso del presidente cinese aveva come obiettivo quello di mostrare al mondo e alla popolazione cinese che qualsiasi compromesso a breve termine sul commercio non modificherà in alcun modo la politica di Pechino né la natura del regime.

Xi ha ribadito senza ambiguità che lo stato resterà ai posti di comando dell’economia e che il Partito comunista cinese non ha intenzione di cedere nemmeno un grammo del suo potere. Una smentita clamorosa per tutti quelli che scommettevano su una democratizzazione della Cina derivata dallo sviluppo della sua economia.

Xi Jinping è diventato il cantore di un modello di capitalismo autoritario cinese che si oppone al modello occidentale

Tuttavia, confermando le doti di equilibrismo del “socialismo dalle caratteristiche cinesi”, per citare la definizione ufficiale, Xi ha premiato dieci grandi “amici” stranieri della Cina, tra cui Klaus Schwab, fondatore del Forum di Davos, il tempio della modernizzazione liberale che l’anno scorso aveva steso davanti a lui un tappeto rosso.

In ogni caso all’orizzonte non c’è nessuna distensione con gli Stati Uniti, anche se è ancora possibile trovare un compromesso commerciale perché le due parti ne hanno tutto l’interesse nel clima economico mondiale attuale. Xi Jinping è chiaramente diventato il cantore di un modello di capitalismo autoritario cinese che si oppone al modello occidentale. Il presidente cinese è il primo leader ad averlo affermato dopo Mao, oltre che il primo ad aver sviluppato il piano cinese a colpi di miliardi di dollari investiti sui cinque continenti, Europa compresa.

Xi, quindi, può anche permettersi di rinchiudere un milione di esponenti della minoranza uigura nei “campi di rieducazione”, di prendere in ostaggio due canadesi dopo l’arresto a Vancouver di una dirigente d’azienda cinese o di tenere in carcere, senza confermarlo per settimane, il fotografo Lu Guang, premiato in tutto il globo. Il mondo non ha ancora la misura della potenza che si sta costruendo in Cina.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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