11 marzo 2019 11:23

Il 10 marzo l’aereo di Abdelaziz Bouteflika è rientrato da Ginevra, dove il presidente algerino si è sottoposto a un ciclo di cure. Gli algerini hanno visto passare un corteo di limousine, ma ancora oggi nessuno è riuscito ad avvistare Bouteflika in persona dopo lo scoppio della crisi, innescata dalla sua candidatura per un quinto mandato alla guida del paese nonostante uno stato di salute gravemente compromesso.

Da più di due settimane gli algerini manifestano a milioni contro il quinto mandato. È importante sottolineare che le proteste sono state assolutamente pacifiche, addirittura gioiose, come quando un popolo si stupisce della propria audacia.

Le manifestazioni hanno assunto la forma di una rivoluzione “dégagiste” , come si diceva a Tunisi nel 2011, nella misura in cui a essere messo in discussione è l’intero regime nato dall’indipendenza e non solo il candidato prescelto. Le porte si sono aperte e sembra che niente possa richiuderle. La risposta del potere algerino, finora, è stata l’ostinazione.

Troppo poco, troppo tardi
Nonostante le proteste, la candidatura di Bouteflika è stata depositata e accompagnata dal certificato medico necessario, ma in assenza del presidente. Insieme alla candidatura, Bouteflika ha offerto la promessa di non portare a termine il mandato in caso di rielezione. Ma non è bastato a calmare la piazza. Troppo poco, troppo tardi.

L’unica altra risposta del governo, dopo la gigantesca manifestazione dell’8 marzo, è stata quella di prolungare le vacanze degli universitari di due settimane, nella speranza che gli studenti si allontanassero da Algeri. Ma gli studenti hanno resistito a questo ridicolo tentativo di smobilitarli.

C’è chi comincia a chiedersi se le elezioni si svolgeranno. Un rinvio permetterebbe di organizzare una transizione più ordinata

L’elemento più lampante è il silenzio del potere. In assenza del presidente, che non parla in pubblico da sette anni, questo regime non ha un volto né una voce. Il silenzio, che già in tempi normali sarebbe sconcertante, oggi è un simbolo di grande debolezza in un periodo di crisi. I “cremlinologi” della vita politica algerina si sono ridotti ad analizzare indizi impercettibili a due giorni dalla scadenza per la convalida della lista dei candidati alle elezioni del 18 aprile da parte del consiglio costituzionale, ultima possibilità per ritirare il nome di Bouteflika.

C’è già chi comincia a chiedersi se le elezioni avranno luogo, anche perché un rinvio permetterebbe di organizzare una transizione più ordinata. Altri cercano di vedere un’avvisaglia di crisi del potere nella defezione altamente simbolica degli ex mujahiddin, i vecchi combattenti.

Altri ancora provano a decifrare una breve frase pronunciata il 10 marzo dal capo di stato maggiore, il generale Gaid Salah, secondo il quale il popolo e l’esercito hanno una “visione comune del futuro”.

Qual è questa visione? Mistero. Ogni giorno che passa, intanto, il compromesso diventa più difficile e cresce la paura di una sbandata di un movimento che finora si è comportato in modo esemplare. Per il bene dell’Algeria dobbiamo sperare che il clamore della piazza venga ascoltato presto, prima che sia troppo tardi.

(Tradizione di Andrea Sparacino)

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