11 aprile 2019 11:36

La reazione più bizzarra al risultato delle elezioni israeliane è stata quella di Donald Trump. Il 10 aprile il presidente degli Stati Uniti ha infatti dichiarato che le possibilità di una pace tra israeliani e palestinesi sono “aumentate” con la vittoria di Benjamin Netanyahu.

A stupire, evidentemente, non è il fatto che Trump esulti per la vittoria di Netanyahu – anche perché Washington è il principale alleato internazionale di Israele insieme a Vladimir Putin – quanto piuttosto che il presidente degli Stati Uniti possa affermare che questa vittoria favorirà il processo di pace tra israeliani e palestinesi.

Il motivo di questo stupore è semplice: il primo ministro israeliano non è stato incaricato dagli elettori di lavorare per la pace. Al contrario, la questione palestinese è stata la grande assente della campagna elettorale, con due eccezioni: i dibattiti sulla sicurezza dopo ogni incidente con Hamas a Gaza o dopo le violenze in Cisgiordania e la promessa fatta da Netanyahu alla vigilia del voto di annettere alcune aree della Cisgiordania in cui si trovano gli insediamenti dei coloni israeliani.

La convergenza di interessi internazionali permetterà a Israele di agire liberamente

Dopo poco più di due anni trascorsi alla Casa Bianca, Trump ha annunciato un piano di pace per la Palestina. Il presidente ha confidato le sue intenzioni al genero Jared Kushner, che ha aumentato i viaggi nella regione ma non ha ancora prodotto il fantomatico piano.

Mercoledì Washington ha annunciato che succederà presto, senza aggiungere dettagli, ma nessuno pensa davvero che questa amministrazione – la stessa che l’anno scorso ha trasferito l’ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv a Gerusalemme e successivamente ha riconosciuto l’annessione delle alture del Golan da parte di Israele – possa realmente trovare una soluzione a uno dei conflitti più inestricabili del pianeta.

È significativo che la Casa Bianca si sia astenuta da qualsiasi commento all’annuncio della possibile annessione di alcune aree della Cisgiordania, una manovra che violerebbe la risoluzione 242 del Consiglio di sicurezza dell’Onu sui territori conquistati da Israele in occasione della guerra del giugno 1967.

Il primo ministro israeliano ha vinto la sua scommessa e sarà probabilmente alla guida di una coalizione nettamente spostata a destra e sostenuta dai coloni, contrari a qualsiasi evacuazione.

Netanyahu ha l’appoggio incondizionato degli Stati Uniti e quello, meno appariscente ma altrettanto concreto, della Russia di Putin e dell’Arabia Saudita, spinta dall’ostilità nei confronti dell’Iran. Questa convergenza di interessi internazionali permetterà a Israele di agire liberamente.

I palestinesi, invece, appaiono pesantemente indeboliti e divisi in fazioni, hanno perso la fiducia nei dirigenti e ormai mancano di prospettive.

Resta il fatto che la retorica di Netanyahu e l’appoggio di Donald Trump non costituiscono una risposta politica a un secolo di conflitti. Il primo ministro israeliano è padrone della situazione, ma in Medio Oriente non sempre le ragioni del più forte sono necessariamente le migliori.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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