02 settembre 2019 11:22

Il 1 settembre l’agenzia di stampa ufficiale cinese Xinhua ha diffuso una minaccia preoccupante: “Per quelli che stanno cercando di destabilizzare Hong Kong e provocare la Cina, la fine è ormai prossima”.

Il commento ufficiale di Pechino coincide con l’escalation della violenza nelle strade dell’ex colonia britannica dopo quasi tre mesi di impressionanti manifestazioni per la democrazia, di cui la più massiccia ha coinvolto due milioni di persone su una popolazione totale di sette milioni di abitanti.

Negli ultimi giorni la polizia ha sparato in aria, usato cannoni con acqua mescolata a inchiostro blu per identificare i manifestanti e aggredito con brutalità ingiustificata un gruppo di giovani in una carrozza della metropolitana (le immagini della scena hanno sconvolto gli abitanti di Hong Kong, abituati a uno stile molto più british).

Un video girato da Annamaria Testa a Hong Kong


Davanti alla violenza delle autorità, alcuni giovani manifestanti si sono radicalizzati, e con un disperato rilancio stanno intensificando l’attacco contro il potere e i suoi simboli.

Il rapporto di forze è palesemente squilibrato. In altre circostanze nessun potere politico potrebbe resistere a una mobilitazione di questa portata, ma a Hong Kong il vero potere, più che nelle mani di Carrie Lam, a capo dell’esecutivo locale, è in quelle del Partito comunista cinese.

Hong Kong è una regione autonoma dal 1997, anno della “restituzione” alla Cina. Tuttavia è proprio la crescente erosione di questa autonomia ad avere innescato le proteste, che dopo aver preso di mira un progetto di legge che avrebbe permesso l’estradizione nella Cina continentale (poi ritirato) si sono allargate e oggi chiedono le dimissioni e la garanzia di diritti democratici.

L’ostinazione dei giovani di Hong Kong suscita ammirazione, ma anche inquietudine

Pechino, però, non ha alcuna intenzione di fare un passo indietro. Le concessioni non sono nella natura di un potere incapace di negoziare con chi ne contesta l’autorità. Il governo cinese ha “venduto” alla sua popolazione (privata di qualsiasi pluralismo nelle informazioni) l’idea che gli occidentali stiano cercando di destabilizzare la Cina manipolando Hong Kong. L’avvertimento dell’agenzia di stampa cinese fa parte di questa logica granitica.

I manifestanti sembrano altrettanto determinati, e questo fa temere il peggio. L’ostinazione dei giovani di Hong Kong – che secondo i sondaggi godono del sostegno della maggioranza della popolazione nonostante gli episodi violenti – suscita ammirazione, ma anche inquietudine. Il 1 settembre Joshua Wong, uno dei volti della protesta, ha parlato su Twitter di “lotta per la vita, che vinceremo”.

Il problema è che i giovani devono affrontare un potere che non ha esitato a inviare le triadi mafiose a caccia di manifestanti, mentre cresce il sospetto che gli agenti della polizia si siano infiltrati nei ranghi della protesta per seminare il caos. Questo clima non lascia prevedere nulla di buono.

Dunque siamo di fronte alla tragedia di una rivolta per la democrazia che si scontra con una superpotenza inamovibile. Il resto del mondo è testimone impotente.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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