13 gennaio 2020 12:15

L’Iran potrebbe essere sul punto di vivere il suo “momento Černobyl”. Michail Gorbačëv, l’ultimo presidente sovietico, si chiedeva se l’Urss non avesse cominciato a sgretolarsi già nel 1986, dopo l’esplosione nella centrale nucleare di Černobyl. Quell’incidente aveva messo a nudo l’incompetenza, la menzogna e l’inettitudine di un sistema arrivato al capolinea.

Lo stesso si può dire della distruzione di un aereo civile ucraino abbattuto dalla difesa antiaerea iraniana (costata la vita a 176 persone) e dell’iniziale tentativo di far passare questo errore imperdonabile per un incidente tecnico, con tanto di distruzione delle prove.

Risultato? Laddove otto giorni fa l’eliminazione del generale Qassem Soleimani sembrava aver provocato un rigurgito di nazionalismo in Iran, questo fine settimana la folla ha manifestato la sua collera nelle strade di Teheran e di altre città del paese. Questa rabbia, anziché contro gli Stati Uniti, stavolta è indirizzata contro il governo.

Due Iran
Il regime iraniano è davvero in pericolo? La verità è che esistono almeno due Iran. Il primo è fedele al regime, in un paese dove milioni di persone sono legate alle grandi fondazioni religiose e ai guardiani della rivoluzione, per non parlare delle famiglie dei “martiri” della guerra tra Iran e Iraq. Ma c’è anche un secondo Iran – giovane, urbano e modero – che da tempo vive nella speranza che l’ala riformista del paese possa progressivamente allentare la morsa religiosa. Queste persone avevano creduto che l’accordo sul nucleare del 2015 avrebbe permesso la trasformazione agognata, per poi restare deluse con il ritorno delle sanzioni, del clima di guerra e della disperazione generale.

La frattura è testimoniata dal fatto che il religioso sciita Mehdi Karroubi, uno dei leader del movimento di protesta del 2009 contro i brogli elettorali (ancora agli arresti domiciliari) ha rotto il silenzio per chiedere le dimissioni dell’ayatollah Ali Khamenei, la guida suprema dell’Iran. Questa richiesta, quasi blasfema, riecheggia nella piazza.

Questa crisi sfugge al controllo di tutti quelli che pensano di essere ai posti di comando o sono convinti di comprenderne la logica

Il regime iraniano, dopo aver provocato la morte di mille persone a novembre pur di schiacciare una rivolta contro il rincaro della benzina, è consapevole di giocarsi la sopravvivenza, e sicuramente non allenterà la presa dopo che Donald Trump ha espresso su Twitter il suo sostegno ai manifestanti.

Scrivendo in farsi – la lingua dell’Iran – il presidente degli Stati Uniti ha compiuto un gesto senza precedenti cercando di ingraziarsi gli iraniani e intimando a Teheran di non compiere un massacro.

Il problema è che Trump, ancora una volta, promette qualcosa che non è sicuro di mantenere. Gli Stati Uniti entreranno in guerra se la repressione di Teheran sarà feroce quanto la precedente? Difficile, considerando che Trump ha approfittato della decisone del regime di non fare vittime statunitensi per mettere fine all’escalation.

Questa crisi sfugge al controllo di tutti quelli che pensano di essere ai posti di comando o sono convinti di comprenderne la logica. È bastato un grave incidente, quello del Boeing abbattuto, per cambiare la prospettiva. Il “momento Černobyl” sta trasformando un conflitto internazionale in una crisi interna, con tutte le incertezze e i pericoli che ne conseguono.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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