10 giugno 2020 10:15

Gli incontri diplomatici sono diventati impossibili, e sono stati sostituiti, come in altri contesti, dalle videoconferenze. È un effetto collaterale della pandemia, nient’affatto trascurabile. Per quanto possa sembrare desueto, in un momento segnato dalle tensioni internazionali l’assenza di contatti personali tra i rappresentanti degli stati può avere conseguenze negative.

Il 9 giugno le Nazioni Unite hanno annunciato che per la prima volta nella storia dell’organizzazione nessun capo di stato sarà presente all’Assemblea generale fissata per settembre. D’altronde è impensabile accogliere migliaia di delegati durante un’emergenza sanitaria. Resteranno le conversazioni in video, che solitamente non sono certo l’aspetto più interessante di questi appuntamenti.

Il vertice del G7 che avrebbe dovuto tenersi a giugno sotto la presidenza statunitense è rinviato a data da destinarsi, così come l’incontro tra il presidente cinese Xi Jinping e i 27 leader dei paesi dell’Unione europea, previsto a settembre in Germania. Il presidente francese Emmanuel Macron ha rinunciato alla sua visita a Mosca del 9 maggio in occasione dell’anniversario della vittoria sul nazismo, una tappa che sarebbe dovuta essere importante nel suo complesso riavvicinamento a Vladimir Putin.

La prossima settimana si terrà un vertice europeo per discutere il piano di aiuti della Commissione che divide i 27 stati dell’Unione, ma il dialogo avverrà in videoconferenza. Si tratta di un appuntamento preliminare, e la speranza è che nel momento in cui bisognerà decidere, probabilmente all’inizio di luglio, sia finalmente possibile incontrarsi faccia a faccia.

Dialogo impossibile
I diplomatici europei sottolineano che il dialogo tra le autorità funziona bene attraverso gli strumenti tecnologici. Lo dimostra il fatto che in pieno isolamento Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel abbiano concepito il piano di rilancio che ha fornito la base per la proposta che oggi si trova sul tavolo dell’Unione. Ma la videoconferenza funziona molto meno quando bisogna dialogare in 27 e gestire l’opposizione degli “stati frugali” alle proposte della condizione.

Mancano le discussioni dietro le quinte con la ricerca di compromessi cruciali per l’Europa, spesso scaturiti da rapporti personali, scambi informali e vere e proprie trattative.

La personalizzazione delle relazioni internazionali non è una novità, ma è diventata sempre più evidente negli ultimi tempi. Ricordiamo ancora la foto, scattata durante un vertice del G7, in cui Merkel, Trump e gli altri appaiono impegnati in una discussione carica di tensione durante una pausa. Un dialogo simile non sarebbe mai stato possibile in videoconferenza.

La lista dei temi su cui la diplomazia arranca è lunga. Il degrado dei rapporti diplomatici è antecedente all’impasse dovuta al virus, e si lega alla crisi del multilateralismo, alla ritirata degli Stati Uniti e all’avanzata della Cina.

La guerra in Libia ne è la dimostrazione lampante. L’ultimo emissario delle Nazioni Unite, Ghassan Salamé, si è dimesso a marzo constatando la propria impotenza davanti alle ingerenze esterne che alimentano e prolungano la guerra civile. Da quel momento non è stato possibile nominare un sostituto a causa della paralisi internazionale dovuta alle rivalità e alla pandemia.

È raro che i vertici internazionali, gli incontri diplomatici e le mediazioni siano eventi spettacolari. Ma la loro utilità risulta evidente quando l’impossibilità di organizzarli lascia campo libero alle tensioni.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it