04 maggio 2021 09:52

Il fatto che le grandi aziende del digitale siano state le principali beneficiarie dei lockdown imposti dalla pandemia non è sicuramente una sorpresa, e i loro risultati finanziari lo confermano: i famosi Gafam (Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft, più qualche altra azienda) non sono solo giganti economici, ma anche potenze importanti su scala mondiale. Ed è questo che preoccupa gli stati.

Gli introiti dei cinque grandi di Gafam sono aumentati del 41 per cento nel primo trimestre del 2021, raggiungendo un totale di 322 miliardi di dollari, una cifra di gran lunga superiore ai ricavi fiscali dello stato francese previsti per l’intero 2021. I guadagni al netto delle imposte si sono impennati del 105 per cento.

Il fenomeno è destinato a perdurare. La pandemia, infatti, ha reso queste aziende ancora più essenziali nelle nostre vite confinate e probabilmente anche in quelle del post-confinamento. Perfino il piano di rilancio dell’economia degli Stati Uniti proposto da Joe Biden, con il suo assegno da 1.400 dollari per ogni famiglia, finisce parzialmente nelle loro casse.

Una certa opposizione
Eppure non mancano i motivi di preoccupazione per i consigli di amministrazione di queste grandi aziende.

La loro dimensione crescente, la loro influenza opaca, il loro peso sul mercato, le loro pratiche sociali e la loro etica spesso discutibile hanno prodotto una certa opposizione, di cui oggi troviamo un’eco sul fronte democratico.

Due nomine cruciali nell’amministrazione Biden inquietano le grandi aziende del digitale. La prima è quella di Tim Wu, consulente del presidente sulle questioni legate alla concorrenza e alla tecnologia, inventore del termine “neutralità della rete” (un concetto fondamentale dell’uguaglianza tra tutti gli attori del settore) nonché autore del The curse of bigness (La maledizione dell’essere grande), non un manuale di dietetica ma un trattato sui monopoli.

Il dilemma è quello di trovare un equilibrio tra lo stimolo dell’innovazione e l’evitare posizioni dominanti

La seconda nomina è quella di Lina Khan, 32 anni, a cui è stato assegnato l’incarico di commissaria per la concorrenza. Khan è una sostenitrice dichiarata dell’idea di sciogliere i grandi gruppi e una sorta di collega statunitense di Margrethe Vestager, commissaria europea per la concorrenza famosa per le sue battaglie contro i grandi marchi del digitale. Se in passato i Gafam avevano una “bestia nera”, ora ne hanno due.

Ancora prima dell’avvento di Biden, l’amministrazione Trump aveva già avviato una serie di procedure antimonopolio contro Google e Facebook. Si tratta di processi lunghi, una vera corsa a ostacoli giuridica che tuttavia la nuova amministrazione sembra intenzionata a proseguire.

Il dilemma è quello di trovare un equilibrio tra lo stimolo dell’innovazione di un settore diventato essenziale per il capitalismo statunitense e la necessità di evitare gli abusi di posizione dominante, le derive antisociali e l’evasione fiscale.

Coincidenza del calendario, anche la Cina si prepara a mettere in riga i suoi colossi del digitale, come abbiamo potuto verificare nel caso di Jack Ma, fondatore del gruppo Alibaba. In un contesto completamente diverso, il potere cinese si è convinto che il gruppo equivalente del Gafam, il Batx (Baidu, Alibaba, Tencent e Xiaomi) sia divenuto eccessivamente grande, potente e incontrollabile.

Il mondo intero è preoccupato da queste evoluzioni, perché questi gruppi sono presenti ormai ovunque. Il capitalismo del ventunesimo secolo è in fase di ridefinizione, e gli stati non hanno ancora detto l’ultima parola.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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