22 febbraio 2022 09:54

Il 20 febbraio Vladimir Putin aveva aperto uno spiraglio per la diplomazia, ma il giorno successivo ha deciso di chiuderlo in modo brutale, nel totale disprezzo del diritto internazionale e della parola data. L’escalation voluta dal presidente russo non consiste nell’invasione in massa dell’Ucraina che tutti temono da settimane, o comunque non ancora. Putin ha scelto un atto politico, giuridico e militare estremamente grave, che spinge la Russia in rotta di collisione con l’occidente.

Cosa è accaduto tra il 20 febbraio, quando il presidente russo ha accettato durante due telefonate con Emmanuel Macron l’idea di un vertice con il suo collega statunitense Joe Biden, e il 21 febbraio, quando ha deciso di riconoscere le due repubbliche separatiste dell’Ucraina orientale rimangiandosi le dichiarazioni della vigilia?

I diplomatici raccontano di essere rimasti sconvolti dal discorso pronunciato la sera del 21 febbraio dal presidente russo, che uno di loro, soppesando le parole, ha definito “paranoico”. Putin è apparso collerico, vendicativo con l’Ucraina e accusatore contro gli occidentali, ricavando da strani riferimenti storici le giustificazioni per la sua fatidica decisione.

Il riconoscimento delle due repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk, in Ucraina orientale, e l’invio dell’esercito russo ufficialmente per “mantenere l’ordine” nelle due aree, costituiscono una violazione degli impegni presi finora.

La Russia è tra i firmatari degli accordi di Minsk, il cui obiettivo è il reintegro in seno all’Ucraina delle due entità separatiste. Mosca ha violato gli accordi nonostante fino a dieci giorni fa Putin avesse ribadito che li avrebbe rispettati. Ma soprattutto il presidente russo ridisegna ancora una volta le frontiere di un paese sovrano, come aveva già fatto in passato in Moldova e in Georgia, appoggiando la separazione di altre repubbliche russofone (la Transnistria, l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia) attraverso la protezione delle truppe russe.

Se le truppe russe attraverseranno la linea del fronte sarà la guerra

Oggi emergono due interrogativi. Il primo riguarda le reazioni degli occidentali, al di là della condanna e delle prime sanzioni che saranno adottate il 22 febbraio. Saranno all’altezza della situazione?

Ma soprattutto viene da chiedersi se Putin si fermerà qui. Il primo test riguarda la possibilità che il Cremlino invii il suo esercito alla conquista dei territori situati oltre la linea del fronte e che sono rivendicati dalle due repubbliche separatiste, come il porto di Mariupol, sul mare d’Azov. Se le truppe russe attraverseranno la linea del fronte sarà la guerra, su questo non possiamo avere dubbi.

Se invece Mosca si limiterà alle due entità separatiste, non farà altro che formalizzare il dominio russo che esiste di fatto dal 2014. A quel punto gli occidentali sarebbero tentati di non esagerare la portata della manovra, perché quantomeno avremmo scongiurato la temuta guerra totale.

Ma continuando a permettere che l’appetito di Putin si sviluppi a spese dei suoi vicini, gli occidentali comprometterebbero ulteriormente la credibilità della loro forza di dissuasione. Ancora una volta è Putin a condurre le danze, approfittando della debolezza dei suoi avversari.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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