C’è stata un’epoca in cui gli Stati Uniti portavano avanti la diplomazia basata sulla loro influenza in tutto il mondo grazie a un logo conosciuto ai quattro angoli del pianeta: quello dell’Usaid, l’agenzia per lo sviluppo internazionale. Adesso, con Donald Trump, quell’epoca è finita. Elon Musk, incaricato di operare tagli drastici nell’amministrazione federale, ha definito l’Usaid un’organizzazione “criminale”, “impossibile da riformare”. Il 2 febbraio, quindi, i suoi dipendenti hanno trovato gli uffici chiusi, il sito internet cancellato e l’organizzazione trasferita al dipartimento di stato.

Perché cominciare la purga dagli aiuti internazionali? Innanzitutto perché pochi americani si interessano abbastanza degli affari del mondo da preoccuparsene. In secondo luogo perché esistono programmi finanziati dall’Usaid che sono inaccettabili per i sostenitori di Trump (per esempio sulle questioni legate al genere o ai diritti riproduttivi). Infine, perché il presidente vuole proiettare un’immagine forte, priva di empatia.

È la grande sorpresa di queste prime settimane del secondo mandato di Donald Trump, che sembrano già un’eternità. Il presidente provoca, stravolge e umilia senza fare concessioni alla diplomazia, talmente sicuro di sé e della potenza degli Stati Uniti da affidarsi unicamente ai rapporti di forza.

Il principale rischio di questa strategia è quello di fare il gioco degli avversari degli Stati Uniti, a cominciare dalla Cina e dalla Russia. Certo, non tutte le vittime di Trump si precipiteranno tra le braccia di Pechino. Il Canada, per esempio, è sconvolto dalla minaccia dei dazi del 25 per cento (che per ora sono congelati), ma vive un sussulto patriottico nella resistenza contro il potente vicino che di sicuro non sfocerà in un’alleanza con la Cina.

Nei paesi del sud globale, però, le reazioni sono più ostili. Trump ha tagliato gli aiuti americani per il Sudafrica, accusato di aver confiscato terre e fatto “cose orribili”. Accuse ovviamente smentite in Sudafrica, ma non bisogna guardare troppo lontano per capire da dove vengono. Elon Musk e Peter Thiel, due degli “oligarchi di Trump”, sono cresciuti nel Sudafrica dell’apartheid.

Membro dei Brics, il gruppo di paesi pilotato in buona parte dalla Cina, il Sudafrica è una voce importante del mondo emergente. Finora ha mantenuto un equilibrio nei rapporti internazionali, ma lo schiaffo di Washington fa evidentemente il gioco di Pechino.

Trump pensa di poter imporre la legge dell’America a tutto il mondo, anche se finora non ha svelato le sue carte a proposito della Cina, colpita da dazi del 10 per cento. E, verrebbe da dire, “solo” del 10 per cento, come se fosse soltanto l’antipasto di una trattativa futura.

Il mondo bipolare della guerra fredda, diviso tra Stati Uniti e Unione Sovietica, ha ceduto il passo, negli anni novanta, a un mondo unipolare con Washington come unica superpotenza. Questo equilibrio oggi è messo in discussione e minacciato, e Donald Trump vuole ristabilire la supremazia statunitense con la forza, non tanto militare quanto economica e tecnologica.

Il rischio è che sia ormai troppo tardi, e che la Cina, già primo partner commerciale dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia, raccolga i dividendi dell’aggressività trumpiana.

L’immagine di una nuova America imperiale relativizza quella di una Cina minacciosa, che si era progressivamente affermata. E quando gli Stati Uniti si risveglieranno, potrebbero non avere il tempo di rimediare.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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