2022. Siamo ancora qua, per ora. Certo, il covid seguita a stare in cima ai nostri pensierini inceppandoci il cervello, ma parliamoci chiaro: meglio essere qua, sfiduciati ogni giorno di più, a disagio sia al chiuso sia all’aperto sebbene vaccinati a mitraglia, che là, nell’elenco dei morti. Comunque, meno male, tutto diventa ­tran tran: le mascherine, la malattia, il generale Figliuolo in tuta mimetica, Draghi che, appena ha fatto capire educatamente quanto tiene a restare sì presidente ma per sette anni, uoteverittèiks , gli si è appannata l’aura dell’eccezionalità, come a noi miopi gli occhiali quando usciamo mascherati e senza liquido antiappannante. Il grigiore dei gesti consueti, delle persone consuete, la vince sempre sullo straordinario. Alla radio ho sentito un intervistatore rivolgersi così a una signora che correva al lavoro di buon mattino: “Come ha reagito al ritorno dell’obbligo di indossare la mascherina anche all’aperto?”. “C’è l’obbligo?”. “Non lo sa?”. “No”. “E allora perché la porta?”. “Perché fa freddo”. Niente impennate, nessun fastidio. Dalla conversazione si può dedurre: a) il ruolo dell’informazione è sopravvalutato, gran parte di noi non legge i giornali, non segue radio, tv, social network, accesi dibattiti, ma sgobba orecchiando; b) la mascherina, ormai, è un comune accessorio multiuso, ci evita le labbra screpolate, ci risparmia il burro di cacao.

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Questo articolo è uscito sul numero 1442 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati