10 giugno 2019 11:49

Hong Kong è decisamente l’incubo dei leader cinesi. Diverse centinaia di manifestanti (più di un milione secondo gli organizzatori, ovvero un settimo della popolazione) sono scesi in piazza il 9 giugno per protestare contro un progetto di legge che agevolerebbe le estradizioni verso la Cina continentale. Si tratta della più grande manifestazione da quando l’ex colonia britannica è rientrata nella sfera cinese, nel 1997, ma è anche una sfida storica all’autorità di Pechino.

Per comprendere la portata di questo evento bisogna ricordare che il ritorno di Hong Kong alla Cina è stato accompagnato da uno status autonomo della durata di cinquant’anni, riassunto nella formula “un paese, due sistemi”. Hong Kong fa parte della Cina ma ha un suo parlamento, una sua opposizione politica, suoi mezzi d’informazione teoricamente liberi e una sua libertà di protestare, tutti elementi impensabili nel resto della Cina.

Eppure da qualche anno gli abitanti di Hong Kong hanno la sensazione che Pechino stia cancellando progressivamente questa autonomia. Nel 2014 Hong Kong ha vissuto la “rivoluzione degli ombrelli” con cui la popolazione ha chiesto di poter eleggere, come previsto dagli accordi, il principale leader locale attraverso il suffragio universale, ma Pechino ha sostenuto che la richiesta fosse inaccettabile.

Autorità spiazzate
Lo spirito sfrontato di Hong Kong si esprime soprattutto attraverso la commemorazione dell’anniversario di Tiananmen, nell’unico angolo della Cina in cui una simile audacia è possibile. La settimana scorsa, per il trentesimo anniversario, hanno manifestato in 180mila, quando dall’altro lato della frontiera un semplice riferimento a Tiananmen è sufficiente a finire in prigione.

Ora tocca alla legge sulle estradizioni. Le vicende di alcuni librai e di un imprenditore che si sono improvvisamente ritrovati in Cina hanno acceso gli animi e sono all’origine delle proteste e dei successivi scontri. La legge tornerà all’assemblea locale l’11 giugno e si prevedono altri incidenti.

Questa nuova generazione è più coraggiosa della precedente

Le autorità cinesi non hanno dato una risposta politica adeguata alla protesta e devono affrontare un fenomeno che le ha sorprese, con l’ascesa di leader ventenni cresciuti dopo il ritorno di Hong Kong alla Cina. Questa nuova generazione è più coraggiosa della precedente, con tendenze radicali e uno zoccolo duro che rivendica l’indipendenza.

Inizialmente gli abitanti di Hong Kong avevano accolto con favore il ritorno alla Cina del 1997, in un momento in cui Pechino, in piena fase di crescita, alimentava le speranze in un ammorbidimento del suo sistema. Ma la festa è durata poco. Oggi Hong Kong si sente troppo diversa per integrarsi in una Cina tornata estremamente rigida sotto Xi Jinping. L’ardore politico fa ormai parte dell’identità culturale di Hong Kong: “Manifesto, dunque sono diverso dagli altri cinesi”.

Pechino dovrà gestire questa crisi direttamente, perché l’amministrazione di Hong Kong è ormai screditata. Ma in questo confine dell’impero, dove l’uso della forza è impossibile, bisognerà trovare un altro metodo per domare una popolazione ribelle.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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