Non si può certo dire che Altan sia un sentimentale e un ottimista, neanche sulle sorti dell’Italia, della nostra cultura, anzi civiltà. E non da ora. È, a parere di molti suoi fedeli ammiratori, non solo il maggior vignettista e fumettista italiano ma anche il maggior sociologo o antropologo italiano.

Le sue vignette su la Repubblica e su L’Espresso hanno segnato la storia nazionale, non solo il costume: i difetti e i vizi della società e della cultura, della classe dirigente, ma che sono anche i nostri, di tutti. Appunto la nostra antropologia, la nostra sociologia: chi sono coloro che ci amministrano e guidano, e anche costringono e comandano; e però anche chi siamo noi che ridiamo delle loro mancanze, che li sopportiamo e infine li sosteniamo.

Altan è, a parere di molti suoi fedeli ammiratori, non solo il maggior vignettista e fumettista italiano ma anche il maggior sociologo o antropologo italiano

Altan ha puntato e continua a puntare il suo sguardo, non pietoso, sui nostri difetti, magari dimenticando qualche nostro (secondario) pregio.

Anni fa osai sostenere che Altan era anche il nostro miglior narratore, e ancora oggi mi sembra di una vitalità senza confronti con la corrente melensaggine delle fatine e dei maghetti, anche quando, raramente, cercano di passare per streghe e per orchi.

Il segno di Altan ha ascendenze lontane nel miglior Jacovitti e in certi sfrenati o furiosi statunitensi. Ma anche nelle avanguardie fiorite tra le due guerre, più nei Grosz che nelle Kollwitz: stare dalla parte dei perdenti di una società oggi è diventato molto più difficile. Parlando degli italiani che si vogliono autentici, Altan ha scelto di farlo a modo suo, preferendo aggredire la normalità, la maggioranza, scontrarsi con i garantiti e tacendo dei perdenti e dei malfermi. Potremmo anche dire più Majakovskij che Brecht. Ma già avanzare questi confronti e questi riferimenti dice quanto Altan ci sia caro e prezioso.

In qualche modo, ma senza il suo qualunquismo, pare più vicino al Guareschi più aspro che al Forattini più aderente a un sistema, a una dirigenza. Pur muovendosi su sponde opposte, per la sua capacità di sentire l’Italia del proprio tempo, e gli italiani nel loro carattere più antico, ora alle prese con una confusa, ancorché sfrenata, modernità. Si può dire che Guareschi era di parte, mentre Altan sembra al di sopra. Insieme così dentro da non voler sparare giudizi e proporre scelte connotabili. Peraltro, chi potrebbe più scrivere qualcosa di serio sul “carattere degli italiani” come in passato tentarono di fare Machiavelli o Leopardi, o più avanti osarono Silvio Guarnieri o Giulio Bollati? In un ipotetico futuro, gli storici di questi nostri decenni avranno molto più da imparare da Altan che non da tanti professori, pur con molto rispetto per i pochi tra loro che sembrano soffrire la decadenza nostra e del mondo.

Ma non c’è solo l’Altan politico delle vignette fulminanti. C’è anche l’Altan narratore, di cui Coconino ha accuratamente riproposto alcune Avventure metropolitane. I curatori del volume, Maicol & Mirco, dicono sensatamente: “Trascurate dai trascurati critici, sono perle perfette quanto la sua satira e la sua Pimpa”. In esse troviamo: “Donne lascive, rappezzate, uomini lascivi, rappezzati. Lacrime, sudore e bava. Gente che mangia mentre altra gente, in un angolo, vomita. Orecchie a punta, forse di demoni forse di maiali”.

Un elenco perfetto di miserie dell’umano e del sociale, dell’animale-uomo privo di qualsiasi naturale purezza. È un mondo in cui “tutti schifano tutti, a cominciare da se stessi”, e nessuno ha mai “occhi rivolti al cielo”, anche per non rischiare “di scoprire che le stelle sono solo l’immondizia del creatore”. Un mondo orrendamente disgustoso.

Una società disgustosa. In cui la caotica e disgustosa Milano di Zorro Bolero non ha nulla da invidiare alla Napoli della cronaca e del turismo. E se è vero che Fellini (un altro cugino di Altan, specie in film come Prova d’orchestra, La voce della Luna, Ginger e Fred), nei trionfali anni del miracolo economico, voleva chiamare La dolce vita, La bella confusione, Altan avrebbe potuto intitolare le sue Avventure, La brutta confusione, alludendo a questi anni d’incerto futuro e di – diciamolo – compiaciuta agonia della sinistra, di coloro cioè che avrebbero potuto e dovuto muoversi nella direzione di ben diverse avventure, cercando quel tanto di armonia e di azione ancora possibili. Anche di questo Altan ci ha parlato e ci parla. ◆

Goffredo Fofi è un giornalista e critico teatrale, cinematografico e letterario. È stato animatore di riviste storiche come Quaderni piacentini, Ombre rosse, Linea d’ombra, La Terra vista dalla Luna, Lo straniero, e direttore della rivista Gli asini.

Il libro
Avventure metropolitane Di Altan, Coconino Press, 256 pagine, 30,40 euro

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Questo articolo è uscito sul numero 1511 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati