26 luglio 2018 10:14

La Cina di Xi Jinping è un’alleata dell’Europa nel tentativo di salvare il sistema multilaterale messo in crisi da Donald Trump, o una rivale, se non una nemica, delle democrazie liberali in un mondo in via di ricomposizione globale? O entrambe le cose?

Questa domanda si fa sempre più strada dopo che il presidente degli Stati Uniti, nonostante le sue incoerenze e il suo zig zag diplomatico, ha lanciato un’offensiva generalizzata contro il sistema multilaterale degli ultimi settant’anni in favore di una politica di potenza sintetizzata dal suo slogan America first.

Non molto tempo fa la domanda sarebbe stata posta in altri termini. Gli europei erano diventati sempre più critici nei confronti delle pratiche commerciali cinesi a causa dell’assenza di reciprocità e delle “vie della seta” costruite a esclusivo vantaggio di Pechino.

Ma tutto è cambiato con l’aggressività di Trump che ha scatenato una guerra commerciale a 360 gradi, anche contro i suoi alleati europei che ora qualifica come nemici degli Stati Uniti. Difficile dimenticare il vertice del G7 e poi quello della Nato, oltre al surreale incontro tra il presidente statunitense e quello russo Vladimir Putin, seguito da diversi giorni di confusione su quello che si è detto o meno.

Così, senza proclamarlo ad alta voce, gli europei hanno cominciato a diversificare le relazioni politiche e commerciali firmando il 17 luglio il loro più importante accordo di libero scambio con il Giappone, altro alleato degli Stati Uniti diventato prudente in seguito all’atteggiamento di Trump, e prendendo apertamente le parti della Cina nel pieno della guerra commerciale sino-americana.

La Germania è in prima linea perché è questo paese, insieme alla Cina, a registrare le maggiori eccedenze commerciali con gli Stati Uniti e a subire le ire di Trump. Non a caso, alla vigilia del vertice della Nato Angela Merkel aveva ricevuto con cortesia a Berlino il primo ministro cinese Li Keqiang, mentre Pechino si era affrettata a liberare dopo mesi di richieste pressanti da parte della Germania Liu Xia, la vedova del dissidente cinese e premio Nobel per la pace Liu Xiaobo, che adesso è rifugiata nella capitale tedesca.

La Cina ha molto da perdere nella tempesta commerciale scatenata da Trump

Qualche giorno dopo è stata la volta dell’Unione europea, guidata dal suo presidente Donald Tusk, ad andare a Pechino per un vertice Ue-Cina che ha assunto un rilievo insolito. In questa occasione si è potuto sentire lo stesso Li Keqiang dichiarare che “nelle circostanze attuali è importante difendere il multilateralismo e il libero scambio”, un discorso che in passato avrebbe potuto essere quello di un dirigente americano nei confronti del mondo comunista.

In effetti la Cina ha molto da perdere nella tempesta commerciale scatenata da Trump. Nonostante il successo economico degli ultimi vent’anni, questo paese rimane vulnerabile con un pil ancora troppo dipendente dal commercio estero e ben lontano dall’essere autonomo al livello tecnologico come ha mostrato il “caso Zte”, dal nome del produttore di sistemi di telecomunicazione che ha rischiato di chiudere quando gli Stati Uniti lo hanno privato di componenti elettronici americani.

Le attuali tensioni internazionali hanno suscitato delle critiche interne contro il presidente Xi Jinping, al quale alcuni rimproverano di aver prematuramente voltato le spalle alla dottrina di Deng Xiaoping, il successore di Mao negli anni ottanta, che raccomandava la discrezione della Cina negli affari internazionali. Xi Jinping ha invece ritenuto che fosse giunto il momento della Cina e ne ha fatto il nucleo principale della sua strategia politica con il lancio delle vie della seta, risvegliando una rivalità da guerra fredda con gli Stati Uniti.

Se come afferma su Twitter Bill Bishop, un esperto americano di questioni cinesi, “Xi Jinping e i suoi collaboratori sono arrivati alla conclusione che l’obiettivo del presidente Trump è quello di ‘distruggere’ la Cina”, Pechino ha tutto l’interesse a mostrarsi cordiale con l’Europa, visto che anche Bruxelles è ormai nel mirino del presidente americano.

Tuttavia, questi due grandi blocchi – la Cina, seconda potenza economica mondiale, e l’Unione europea, primo mercato mondiale – non hanno per forza gli stessi interessi. Paradossalmente l’Ue, che muove gli stessi rimproveri di Trump alle pratiche commerciali e industriali cinesi, avrebbe potuto mettersi d’accordo con gli Stati Uniti per fare insieme pressione sulla Cina. Ma lanciandosi contemporaneamente contro Pechino e Bruxelles, Trump ha provocato l’avvicinamento dei due blocchi che ha preso di mira.

Questo avvicinamento congiunturale segna un’evoluzione significativa dei rapporti di forze internazionali

Le evoluzioni geopolitiche sono solo agli inizi, e sarà Trump a dettarne i tempi e la direzione, se decidesse di continuare la sua guerra contro la Cina dopo l’istituzione di dazi doganali del 25 per cento su 34 miliardi di dollari di prodotti. La minaccia adesso è quella di estendere a settembre i dazi ad altri 200 miliardi di importazioni cinesi, cosa che rappresenterebbe una vera e propria dichiarazione di guerra alla Cina.

In ogni modo questo avvicinamento congiunturale segna un’evoluzione significativa dei rapporti di forze internazionali, soprattutto in campo commerciale dove l’Europa rimane la grande potenza che non è più nelle questioni strategiche o politiche.

Coincidenza del calendario o meno, la multa di più di quattro miliardi di euro inflitta dalla Commissione europea a Google per abuso di posizione dominante ha rafforzato quest’immagine di distanza dell’Unione europea nei confronti di Washington. Non è certo la prima multa – quella ancora più forte inflitta ad Apple era stata decisa sotto l’amministrazione Obama – contro un gigante tecnologico americano, ma Trump ne ha fatto subito su Twitter un ulteriore argomento per denunciare l’Europa davanti ai suoi elettori: “Ve lo avevo detto. L’Unione europea ha inflitto una multa di cinque miliardi di dollari a una delle nostre grandi imprese, Google. Approfittano degli Stati Uniti ma non per molto”.

Affermazione incredibile da parte di un uomo che pratica un unilateralismo esasperato, in particolare imponendo alle imprese europee di smettere di avere relazioni con l’Iran per non rischiare le sanzioni degli Stati Uniti.

Questo clima deleterio rischia di durare ancora qualche mese, quanto meno fino alle elezioni americane di metà mandato all’inizio di novembre, che ci faranno capire se gli elettori americani diranno “stop” o “ancora” a Trump.

Se dovessero dire “ancora”, cioè se le elezioni non si trasformeranno in una sconfessione ma in un sostegno al presidente, questa guerra di nuovo genere diventerà più dura. E i cambiamenti di alleanza saranno ancora più spettacolari.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it