Se dovessi sintetizzare cos’è stato quest’anno per me, dentro la musica e fuori, sceglierei una frase di Clarice Lispector tratta da La passione secondo G.H.: “Ho perso una cosa che mi era essenziale e che non lo è già più. Non mi è necessaria, così come se avessi perduto una terza gamba che finora m’impediva di camminare ma che di me faceva uno stabile treppiedi, quella terza gamba ho perduto, e sono tornata ad essere una persona che non sono mai stata, sono tornata ad avere quanto non ho mai avuto: null’altro che le due gambe, e so che soltanto con due gambe io posso camminare”.

È comune sentire la mancanza di qualcosa che non si è mai avuto, e ci sono musicisti che riescono a far risuonare questa vibrazione della mancanza su un piano più vasto e collettivo.

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È il motivo per cui la frase di Lispector mi sembra il modo più generoso per commentare il mio disco italiano dell’anno, Illusion di Edda. Perché anche Edda parla di appendici immaginarie, di colpo mutilate, con una voce cruda e tenera, che ben si addice a una filosofia semplice, o alla geniale “stupidità” tipica dei racconti della scrittrice.

Ma la reinvenzione del passato e l’appello a una falsa integrità lispectoriana può accompagnare l’altro disco che ricorderò di questo 2022, Rimorso di Mai Mai Mai, dove l’incanto vale per le voci delle fimmine nei campi di tabacco e di molti pezzi di sud, in una specie di possessione secondaria: perché quello che non è mai appartenuto a un certo punto torna, e si vendica. Il pezzo del corpo staccato torna a chiedere il conto. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1491 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati