Ho passato alcuni mesi invernali a tradurre Musica da camera singola. Appunti sull’amore e sul farsi una vita (Rizzoli) di Amy Key, autrice e poeta inglese che ha dedicato la sua prima opera narrativa alla cantautrice Joni Mitchell e in particolare al disco Blue.

Key, che ha circa quarant’anni, non ha una relazione sentimentale da più di venti e “usa” uno dei suoi dischi preferiti per sviscerare il modo in cui l’assenza di un amore canalizzato nella coppia e l’esperienza della solitudine possano avere tantissimi risvolti, tra autonomia e stigma, cristallizzazione sociale e invenzione di nuovi parametri per stare bene.

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Lo fa usando la sua storia e quella della cantautrice, e nel tradurlo mi sono resa conto di quanto io non riesca più a pensare al volto di Mitchell senza vederla in blu o dipinta in uno dei suoi autoritratti, quando stabilisce l’immagine di se stessa secondo il suo canone. La vedo in tempera e tela, si è smaterializzata in un’altra dimensione.

Ci ho pensato a una cena a casa di amici, quando con la coda dell’occhio ho intravisto un quadro bellissimo, di un rosa e verde malarico. Nel quadro si vede una donna aggrappata alla chitarra, con le dita nervose e sfumate forse per averla appena pizzicata, e un viso straziato.

Sapevo chi era, ma non la riconoscevo: era Rosa Balistreri, in un’opera del 1967 commissionata da lei stessa e poi donata, in cui si è fatta dipingere così dopo la fine di un amore: come se fosse morta, ma non ancora. Assorbendo l’immagine, ho sentito che non riuscirò a vedere il suo viso in un altro modo, e mai più solo in bianco e nero. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1526 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati