Pista nera, il nuovo disco dei Post Nebbia, si distingue per molte cose, ma vale la pena di sottolineare l’importanza della copertina, che ha una matrice familiare – la foto ritrae il nonno alpinista del frontman Carlo Corbellini – e riproduce lo stesso effetto delle cartoline che si trovano nei mercatini di antiquariato in cui finiscono le istantanee di vecchi matrimoni e gite al mare. Sono immagini che qualcuno compra per appenderle al frigorifero e perdono qualsiasi riferimento privato, per dissolversi in un perturbamento più inquieto, che ha a che fare con il tempo non vissuto. I Post Nebbia hanno sempre lavorato su dischi situati, sul piano geografico e generazionale, ma in Pista nera depongono con maggiore convinzione questa ispirazione rappresentativa.

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Rimane forte nei testi, orientati a immagini di disallineamento, perdita e scollamento, ma è convincente anche sul piano dei suoni. L’apertura dell’album, Leonardo, coincide con un annuncio da altoparlante su un bambino che si è perso nel rifugio Pista nera, evocando un po’ il protagonista della Settimana bianca di Emmanuel Carrère e il senso di pericolo che lo circonda. Nel pezzo successivo, Io non lo so, i Post Nebbia portano dentro echi lusitani e ritmici, arricchendo la loro vocazione psichedelica con accenti capaci di ricreare i nostri inverni tropicali, quando fa buio presto e sudiamo facendoci domande banali sulla fine. Un disorientamento perseguito con un approccio da concept album e quasi mai fine a se stesso. Alla quarta prova, i Post Nebbia restano autonomi. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1592 di Internazionale, a pagina 98. Compra questo numero | Abbonati