Flowers are blooming in Antarctica di Laura Agnusdei è interessante per vari motivi, non ultimo il modo esplicito in cui coinvolge un discorso visivo: in vista dell’uscita del disco, l’etichetta Maple Death e Canicola edizioni hanno deciso di legare il vinile a un albo dell’illustratore Daniele Castellano, in un progetto chiamato Opale. È una pietra che pur avendo la mutevolezza cangiante dei cristalli è fatta da noduli, croste, vene e può perdere la luce per l’eccessiva disidratazione: un buon viatico per raccontare le creature che emergono da questo lavoro della compositrice e sassofonista, che nei suoi anni di attività in giro per il mondo ci ha abituato a dinamiche avvolgenti quanto misteriche.

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L’apertura del disco, Ittiolalia, è il tagliando di viaggio per approdare a un ecosistema fatto di ghiacciai neri, fiori al neon e i riflessi azzurrini del Dottor Manhattan, come se fosse andato in esilio a meditare sullo stato della civiltà in un pianeta tropicale e non su Marte, circondato da bambini che fanno domande su dinosauri e meteoriti. Da qui una progressione ritmica in cui la Terra è futura, quasi salva, reclamata dalle piante, mezza sopravvissuta, mezza stupefatta dal suo non essere del tutto esplosa, in una magica ambiguità ballardiana. All’Oasi bar ci s’imbatte nei fossili elettronici che i cercatori continuano a recuperare dal deserto. È la stessa Laura Agnusdei a mettere questi reperti nel contesto, a lucidarli e a offrirli all’ascoltatore esponendolo a sentimenti che vanno dalla malinconia alla meraviglia e senza mai ridurli all’inerzia della cosa bella e lontana che sta sotto una teca di cristallo. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1604 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati