**◆ **Parliamo di romanzi. In uno dei suoi saggi, quello dedicato alla Storia dell’occhio di Georges Bataille, Roland Barthes usava un bella formula. L’immaginazione romanzesca, diceva, è “immaginazione timida”. Perché? Perché il romanzo è succube del probabile, che per sua natura è noioso. Meglio dunque l’immaginazione poetica che, secondo Barthes-Bataille, si nutre di impossibile. Bello, ci sarebbe da ragionare. Ma qui lasciamo da parte l’impossibile, mettiamo tra parentesi il probabile e sottolineiamo “noioso”. Il rischio è che, specialmente nella tradizione italiana, ciò che insistiamo a chiamare “vera letteratura” approdi proprio a questo: la noia. Soprattutto perché, nel concepire i nostri testi ambiziosi, nello scriverli, scansiamo come la peste tutto ciò che non sia coerente con la nostra poverissima esperienza quotidiana. La conseguenza è che quel poco che movimenta le storie finisce abusato nei libri cosiddetti di intrattenimento, mentre i nostri libri-libri lavorano di bulino su gesti minimi e intimi rovelli. Inutile dire che ogni tanto qualche persona autorevole si sveglia e scopre che non pochissimi libri di intrattenimento sono libri-libri e parecchi libri-libri non valgono un tubo. Ma questo non scuote per niente l’ordine gerarchico delle nostre lettere, ed è un peccato, perché far cadere qualche steccato in modo definitivo non sarebbe male.
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Questo articolo è uscito sul numero 1368 di Internazionale, a pagina 12. Compra questo numero | Abbonati





