Il ciclone Apollo ha tenuto in scacco mezza Sicilia prima di avviarsi verso le coste libiche. Capitolo recente della meteorologia contemporanea, che in una sorta di paganesimo di ritorno affida ai fenomeni più o meno devastanti nomi e gesta epiche. La tv, che ha sete di simboli, costruisce il racconto dell’attesa con la medesima tensione degli exit poll, speculando su cause ed effetti con la sintassi delle maratone di Mentana. L’attesa dell’uragano non è essa stessa uragano? Con il cambiamento climatico stiamo importando un format altrove consolidato: la diretta dell’apocalisse. Le tv statunitensi ci marciano da anni. La mania del meteo si diffuse grazie alle reti locali, con l’inviato nella tormenta, più stregone che reporter. Impaginare bufere costa poco e intrattiene, e le ore spese a prevedere garantiscono pubblicità. In Italia la rubrica sul tempo esordisce nel 1954, prima annunciata dalle “signorine buonasera” per poi passare ai colonnelli (il primo fu Edmondo Bernacca), tanti Figliuolo ante litteram chiamati a maneggiare con piglio rigoroso una scienza che deve all’imprevedibilità la sua fortuna. Emilio Fede nel suo tg introdusse le meteorine, versione mitigata delle conduttrici in topless della tv russa, e Fabio Fazio, con Che tempo che fa, ibridò le previsioni con il late _ show_. Come scrisse Vittorio Zucconi, decifrando il successo del meteo televisivo: “Il tempo è l’ultima magia in un’età senza favole”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1434 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati