Non si fruga nella polvere è alla sua terza traduzione italiana – dopo quella per la collana Medusa della Mondadori e quella di Fernanda Pivano per l’Einaudi – anche se non è il romanzo più celebre e forse neanche il più significativo nell’opera di William Faulkner. Uscito nel 1948, un anno prima della consacrazione del Nobel, è comunque un capolavoro di grandi meriti, non ultimo quello di una scorrevole leggibilità, nonostante la prosa faulkneriana sia sempre tra le più dense del novecento, al limite di uno sperimentalismo che dà dei punti a Joyce e agli altri grandi del modernismo. In Non si fruga nella polvere, per esempio, Faulkner integra divagazioni e approfondimenti sociologici in un romanzo che attraversa sapientemente e sinteticamente i generi molto consolidati del gotico e del noir.

Prima di dire la nostra ammirazione per una costruzione narrativa innervata di considerazioni tra le più profonde che si conoscano sulla cultura del sud degli Stati Uniti e sul rapporto tra bianchi e neri su cui si è retta, ovviamente sfruttando e schiavizzando i neri, e disprezzando la loro cultura, va azzardata una considerazione più generale, e cioè che nella storia della letteratura dell’intero novecento lo scrittore più rappresentativo dei dilemmi delle culture dei nord del mondo è stato forse Kafka (Il processo, Il castello, La metamorfosi). Di stimolo e modello alle più ardite esperienze degli scrittori dei sud del mondo, da Achebe a García Márquez, è stata probabilmente l’opera di Faulkner. Naturalmente, si potrebbe dire, “barocca”.

Faulkner è stato probabilmente di stimolo e modello alle più ardite esperienze degli scrittori dei sud del mondo, da Chinua Achebe a Gabriel García Márquez

È di radici e di generazioni, di passato e di presente che Faulkner ci parla, scavando – come i protagonisti del suo romanzo – nel cimitero che è la storia. La forza del romanzo sta anche nel suo soggetto. Un nero confessa l’omicidio di un bianco, ma un ragazzo bianco suo amico ha dei dubbi e si convince che sia stato un altro a sparare il colpo mortale. Come dimostrare che il nero è innocente, mentre intorno i bravi bianchi si preparano a linciarlo? Ritrovando nel corpo dell’ucciso la pallottola mortale, che non può essere quella sparata dalla pistola del nero. Il fulcro del romanzo, dalla trama non semplice, è in una spedizione notturna che il ragazzo, insieme a un suo coetaneo nero e a una vecchia e convinta zitella bianca compie nel cimitero, per scoprire che nella tomba non c’è il cadavere dell’ucciso, ma di un altro uomo. Personaggi non secondari di una vicenda concentrata in poche ore sono lo zio avvocato del ragazzo e lo sceriffo, che deve vedersela con la comunità dei fanatici del linciaggio.

A Faulkner interessa conquistare il lettore anche per aiutarlo a capire meglio il sud. E se è del sud, a capire se stesso. Dice lo zio avvocato: “Io difendo Lucas Beauchamp, difendo Sambo dal nord e dall’est e dall’ovest – dagli stranieri che lo scaraventeranno decenni nel passato non soltanto nell’ingiustizia ma nel dolore e dell’angoscia e anche nella violenza imponendoci leggi basate sull’idea che l’ingiustizia dell’uomo verso l’uomo possa essere abolita da un giorno all’altro dalla polizia. Sambo naturalmente dovrà subirlo. E lo sopporterà, lo assorbirà e sopravviverà perché è Sambo e sa come fare; ci arriverà anche prima di noi perché ha la capacità di sopportare e sopravvivere ma sarà rigettato indietro di decenni e quello a cui sopravviverà forse non varrà la pena averlo perché a quel punto saremo così divisi che forse avremo perso l’America”. Di pari passo con queste considerazioni ci sono quelle sugli Stati Uniti del tempo, che Faulkner sembra detestare, pur non rinunciando a lottare per cambiarli. Grande sociologo e moralista, non solo grande scrittore.

Noir e gotico, si diceva, due influenze che si avvertono sempre o quasi nelle narrazioni faulkneriane, ma che qui sembrano avere il sopravvento sulle forme del grande romanzo sperimentale, e servono ad accostare il lettore ai dilemmi del ragazzo bianco. Non è un caso se da questo romanzo forse una delle più bigotte delle case cinematografiche degli anni cinquanta, la Metro Goldwyn Mayer (probabilmente convinta dalla vittoria del Nobel), trasse Nella polvere del profondo sud, affidato alla regia di Clarence Brown, un veterano che ben conosceva le leggi dei generi. D’altronde fu la Mgm a produrre il primo film girato da Fritz Lang dopo la sua fuga dalla Germania, Furia, nel 1936, il cui soggetto era il linciaggio.

Ecco, chi ancora – sciagurato! – non conosce Faulkner, cominci da Non si fruga nella polvere. ◆

Il libro: Non si fruga nella polvere. Di William Faulkner, traduzione di Roberto Serrai. Adelphi, 235 pagine, 19 euro.

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Questo articolo è uscito sul numero 1486 di Internazionale, a pagina 98. Compra questo numero | Abbonati