Il capo assoluto del ragionier Fantozzi dimostrò la sua clemenza quando lo fece accomodare sulla poltrona di pelle umana prima di spedirlo nell’acquario dei dipendenti. La bontà del capo, imprevista per statuto, era narrata come gesto democratico e prologo a qualcosa di immutabile. La carezza paternalista, così superiore per gerarchia e per morale, era il miele nella cicuta. Di quella magnanimità padronale, che Villaggio restituì in forma di parodia, Rai2 ne fa un ritratto serio e credibile. In Boss in incognito l’imprenditore di turno è mascherato e truccato, irriconoscibile per i suoi stessi operai, ai quali si presenta in veste di apprendista. Alla catena di montaggio conosce da vicino i lavoratori, ci parla, ascolta disavventure e inquietudini, misura l’attaccamento all’azienda e le ambizioni. Dopo una settimana di vita agra, il boss torna nel suo gessato e convoca a uno a uno i dipendenti con cui si è intrattenuto. Confessa l’operazione e distribuisce regali personalizzati. La bici per il manovale. Il viaggio per l’operaia che non ha mai volato. I soldi per l’università del figlio. I lavoratori si commuovono e ringraziano quel capo così munifico. Tra i vari boss del nostro tempo, retori del “sacrificio” e insofferenti a maternità e salari dignitosi, quello televisivo ha un cinismo quasi letterario. Indossata la maschera, ti parla, ti ascolta, ti consola. In cambio, sulla scrivania, terrà la foto ricordo di quando fu pesce tra i pesci. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1466 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati