“Ti prego, fa’ che bestemmi”. La preghiera inconscia dei dirigenti Rai dell’epoca aveva poteri magici, e fu così che il 22 gennaio del 1984 Leopoldo Mastelloni, collegato in diretta con lo studio di Blitz (Rai2), rispondendo alle domande del pubblico sulla sua vita privata, si profuse in una galleria di parolacce che culminò con quella che Antonio Lubrano, in un’intervista all’attore, descrisse bene: “Sottoposto a un fuoco di fila pronunziò due parole che associavano alla figura di Dio quella di una bestia con peculiari caratteristiche”. L’eresia fu il via libera che molti aspettavano per: radiare dalla Rai l’eccentrico artista dichiaratamente omosessuale, il cui nome fu cancellato dalle locandine di molti teatri; allontanare dal servizio pubblico l’inviata Stella Pende, responsabile della rubrica in cui avvenne il fattaccio, per una colpa che è ancora difficile individuare; chiudere la trasmissione, campione di ascolti e recensioni, casa dei migliori nomi dello spettacolo e dello sport, ideata e condotta da Gianni Minà, troppo schierato e di carattere sabaudo. Al giornalista non furono più affidate prime serate e per lui cominciò un graduale isolamento. Non piaceva a Craxi, gli confidò anni dopo un dirigente, così come alla fine degli anni novanta non piacerà ai dalemiani. Oggi la tv piange Minà per il grande contributo e prestigio di cui fu capace, quella stessa tv che evocò l’assoluto perché agevolasse la fatale blasfemia. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1505 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati