Giulia Lombezzi
L’estate che ho ucciso mio nonno
Bollati Boringhieri, 320 pagine, 17 euro

Il secondo romanzo di Giulia Lombezzi, scrittrice e sceneggiatrice, è raccontato in prima persona da Alice, una ragazza di 16 anni che, da un giorno all’altro, si trova in casa il nonno materno, Andrea, vecchio, malato e paurosamente dipendente, in un’inversione di ruoli che comunemente si ritiene doverosa. Alice e sua madre Marta diventano così inquiline sotto sfratto di una casa che si trasforma, riempiendosi di obblighi, imperativi e odore di sigarette. La sua voce ironica e schietta rende L’estate che ho ucciso mio nonno un libro difficile da posare. La scrittura di Lombezzi ha il ritmo avvincente delle storie che svelano pian piano un segreto nascosto tra le mura domestiche, negli anfratti tra una generazione e l’altra. La famiglia diventa per Alice lo spazio delle crepe, in cui i diritti che teoricamente ci si è conquistate nella quotidianità diventano impraticabili: la cura, il lavoro, la casa, l’istruzione, i soldi e la cucina, la sofferenza che sembra una cosa naturale, che si tramanda dai genitori ai figli senza possibilità di emancipazione o redenzione. Alice vuole sbarazzarsi di quel retaggio familiare, un’idea che si fa insistente man mano che scopre l’infanzia della madre, quando vede Marta stingersi in Teresa, sua nonna. Un romanzo ricco e giovane, con una scrittura che punge e allo stesso tempo rallegra. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1604 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati