Il governo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ordinato un bombardamento punitivo su Gaza dopo che Hamas ha massacrato più di 1.400 israeliani in quello che è stato descritto come l’11 settembre di Israele. Le guerre scatenate dagli Stati Uniti in risposta agli attentati di quel giorno del 2001 danneggiarono gravemente la forza e la credibilità dell’occidente, per non parlare degli effetti deleteri per la coesistenza di popoli e religioni. Una nuova invasione in Medio Oriente potrebbe avere conseguenze ancora più catastrofiche.

Nei mesi successivi al peggior attacco terroristico della storia, gli Stati Uniti ricevettero la solidarietà del resto del mondo. Il presidente russo Vladimir Putin fu uno dei primi leader stranieri a chiamare la Casa Bianca. Oggi, invece, molti paesi puntano il dito contro Israele per la sua “occupazione illegale delle terre palestinesi e per l’oppressione del popolo palestinese”, come ha sottolineato la ministra degli esteri sudafricana Naledi Pandor. Il primo ministro indiano Narendra Modi è l’unico leader del sud globale a essersi schierato dalla parte di Israele.

La Russia e la Cina assaporano un’altra vittoria nella loro campagna di propaganda globale che presenta i paesi occidentali come un manipolo di ipocriti e arroganti

Nella politica internazionale il sostegno nei confronti dello stato ebraico ha sempre seguito quella che Du Bois chiamava la “linea del colore”. Alla fine degli anni trenta, quando i palestinesi attaccavano i coloni sionisti arrivati dall’Europa, fu addirittura Gandhi a giustificarne la violenza. La necessità morale della creazione di Israele, innegabile dopo la shoah, non era stata riconosciuta nemmeno da remote nazioni dell’Asia e dell’Africa, figuriamoci da quelle del Medio Oriente. Perché i palestinesi erano puniti per crimini commessi dai paesi europei?

Oggi non è a rischio solo il tentativo di Israele di normalizzare i rapporti con i vicini arabi. Un conflitto esteso in Medio Oriente ridurrebbe le risorse dedicate dall’occidente a contrastare la Russia in Ucraina, che tra l’altro già cominciavano a scarseggiare. Inoltre è probabile che resterebbe ben poco del piano dell’amministrazione Biden per opporsi all’influenza di Pechino in Medio Oriente attraverso un accordo tra Israele e Arabia Saudita, o della proposta di un corridoio economico tra India ed Europa. Anche se la battaglia sarà limitata alla Striscia di Gaza, attirerà comunque l’attenzione su quello che quest’anno Amnesty international ha definito “il sistema dei due pesi e due misure” occidentale sui diritti umani. Per molti popoli del mondo non c’è una risposta convincente alla domanda sollevata dall’attivista palestinese Mustafa Barghouti in un’intervista alla Cnn: “Perché gli Stati Uniti sostengono l’Ucraina nella lotta contro l’occupazione” mentre in Medio Oriente appoggiano “l’occupante, che ci priva delle nostre terre?”.

Non sorprende che né la Russia né la Cina (entrambe in buoni rapporti con Tel Aviv di recente) abbiano manifestato il proprio cordoglio a Israele. Mosca e Pechino assaporano un’altra vittoria nella loro guerra di propaganda globale che presenta i paesi occidentali come un manipolo di ipocriti e arroganti. Sfortunatamente questa manovra riceve un contributo dell’occidente stesso, a cominciare dalla decisione della Commissione europea (annullata subito) di sospendere gli aiuti all’Autorità nazionale palestinese. Di sicuro Cina e Russia trarranno vantaggio dalle immagini di morte in arrivo da Gaza, causate anche dalle bombe costruite negli Stati Uniti.

Al tempo stesso Israele verificherà ancora una volta che il ricorso alla violenza per tenere il paese al sicuro porta ben pochi risultati. Colpendo nel cuore del territorio israeliano, Hamas ha fatto fare un balzo in avanti alla propria immagine, e non solo tra i suoi militanti. La sensazione di poter prevalere che si sta diffondendo tra i musulmani indignati di tutto il mondo non va sottovalutata. C’è il rischio immediato che le immagini della feroce crudeltà di Hamas rimbalzate ovunque possano ispirare degli imitatori nel resto del mondo. D’altronde le due rivolte palestinesi contro l’occupazione del 1987 e del 2000 produssero impennate globali della militanza musulmana.

Oggi tanti musulmani che vivono in Europa – ma anche in Asia meridionale, Nordafrica e Medio Oriente – sentono di non avere più nulla da perdere, come gli abitanti di Gaza. Come già successo dopo l’11 settembre 2001, una guerra vista in tv e su internet potrebbe trasferirsi sulle strade dell’occidente, mentre la Cina e la Russia continuano a rafforzarsi.

Possiamo solo sperare che la sensazione di vulnerabilità condivisa da israeliani e palestinesi riesca a favorire una riapertura delle trattative. Il risultato della normalizzazione dovrebbe essere uno solo: la fine dell’occupazione israeliana e la nascita di uno stato palestinese in cui le organizzazioni terroriste come Hamas non possano più sfruttare la disperazione delle persone. Se questo scenario continuerà a restare un miraggio, faremo meglio a prepararci a giorni ancora più bui di quelli successivi all’11 settembre. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1534 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati