A meno di cinque mesi dal primo turno, cosa possiamo aspettarci dalle elezioni presidenziali dell’aprile 2022 in Francia? La questione si può porre su due livelli: quello del voto e quello, più ampio, del ruolo delle presidenziali nel sistema politico francese. Per quanto riguarda le elezioni, le cose sono partite male. Di fronte all’estrema svolta a destra del paesaggio politico – un’evoluzione a cui il comportamento al potere di Emmanuel Macron non è estraneo – è diventato quasi impossibile discutere dei temi sociali ed economici che struttureranno il nostro futuro. Per vincere la battaglia dell’emancipazione e del capitale umano, la questione centrale resta quella dell’investimento nell’istruzione e nella formazione. Purtroppo le ultime cifre della legge di bilancio del 2022 parlano chiaro: tra il 2008 e il 2022 in Francia la spesa pubblica per ogni studente è scesa del 14 per cento (del 7 per cento dal 2017). È uno spreco monumentale per il paese e per i suoi giovani. È urgente che i candidati prendano impegni precisi che permettano alle università di avere gli stessi mezzi degli atenei più selettivi a numero chiuso. Sappiamo che, per affrontare le sfide climatiche, bisognerebbe tassare in maniera consistente i più ricchi. Escludere i patrimoni più grandi da qualsiasi tipo di tassazione, quando negli ultimi dieci anni in Francia il loro valore è triplicato, è una dimostrazione di stupidità economica e di accecamento ideologico. Questa rinuncia a qualsiasi ambizione in materia di sovranità fiscale e di giustizia sociale inasprisce il separatismo dei più ricchi e alimenta la corsa a capofitto verso figure autoritarie e politiche identitarie.

Ma per quanto si tenti d’ignorare le disuguaglianze, la realtà finirà per farsi sentire. In Francia il 50 per cento più povero della popolazione produce un’impronta carbonica (il parametro che stima le emissioni di gas serra) di appena cinque tonnellate per abitante, rispetto alle 25 tonnellate del 10 per cento più ricco e alle 79 tonnellate dell’1 per cento più ricco. Le soluzioni che consistono nel tassare tutti allo stesso modo, come la carbon tax proposta nel 2017, dall’inizio del quinquennio presidenziale, non hanno senso. Si dovrebbe fare altro: la fiscalità locale dev’essere ripensata per permettere ai comuni più poveri e ai loro abitanti di disporre delle stesse opportunità di tutti gli altri; il sistema pensionistico deve diventare universale ed equo, concentrandosi sulle pensioni di piccola e media entità; occorre applicare una nuova divisione dei poteri tra dipendenti e azionisti nella gestione delle società; la lotta contro le discriminazioni deve diventare una priorità accettata e misurabile.

Il percorso verso le elezioni del 2022 è partito male. Di fronte all’estrema svolta a destra del paesaggio politico è diventato quasi impossibile discutere dei temi sociali ed economici

I candidati devono inoltre dire se si accontenteranno della tassa globale del 15 per cento sulle multinazionali o se s’impegneranno a portarla al 25 per cento, come raccomanda l’Osservatorio fiscale europeo, e a condividere il gettito fiscale della Francia con i paesi del sud del mondo. Al di là di queste decisioni unilaterali, è urgente proporre ai nostri partner europei l’istituzione di un’assemblea transnazionale, per adottare a maggioranza delle misure di tipo sociale, fiscale, di bilancio e ambientale. All’inizio saranno coinvolti solo alcuni paesi, ma questo non rende il punto meno fondamentale: i laboriosi dibattiti sul piano di rilancio hanno mostrato i limiti dell’unanimità con 27 paesi dell’Unione, e non potremo affidarci eternamente solo all’azione della Banca centrale europea, che tra l’altro avrebbe bisogno di una supervisione democratica e parlamentare. I dibattiti ci saranno, ma quasi scompariranno davanti alla frammentazione delle candidature a sinistra. Il fatto che le forze coinvolte (socialisti, comunisti, ecologisti, il partito La France insoumise e altri) non capiscano che quello che le accomuna è più importante di quello che le separa è terribile. Se vogliamo salvare le presidenziali, è urgente che i candidati della sinistra si riuniscano per discutere dei loro punti in comune e lascino la scelta agli elettori.

La debolezza del confronto attuale inoltre mostra, una volta di più, i mali del presidenzialismo alla francese. Non occorre certo tornare all’elezione indiretta del presidente. Al di là del necessario rafforzamento dei poteri del parlamento (facendo svolgere le elezioni parlamentari prima delle presidenziali e non viceversa), bisogna dare linfa al sistema democratico francese, introducendo nuove forme di partecipazione, come i referendum d’iniziativa popolare. Il dibattito per le presidenziali potrebbe essere l’occasione per fare un passo in questa direzione. A condizione d’includere anche la questione del finanziamento delle campagne elettorali. Sono state fatte alcune proposte per ridurre il peso delle donazioni private, e alcuni candidati le hanno riprese, cosa che potrebbe contribuire a ripristinare la fiducia nella politica.

La lezione è chiara: per salvare le presidenziali, cittadini e politici di ogni parte politica devono mobilitarsi per superare il presidenzialismo. ◆ ff

Thomas Piketty è un economista francese. È professore all’École des hautes études en sciences sociales e all’École d’économie de Paris. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Una breve storia dell’uguaglianza (La nave di Teseo 2021). Questo articolo è uscito su Le Monde.

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Questo articolo è uscito sul numero 1437 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati